I tweet di @matteorenzi
La prefazione di Luca Sofri a un nuovo libro che racconta l'ascesa politica del PresdelCons attraverso il suo mezzo di comunicazione preferito
di Luca Sofri
Giovedì 17 luglio esce anche la versione di carta del libro “#ArrivoArrivo” (disponibile già in ebook da qualche settimana, per Fazi Editore), una storia dell’ascesa politica di Matteo Renzi a partire dall’analisi del suo ricchissimo archivio di tweet degli ultimi anni, fatta da Matteo Grandi e Roberto Tallei. Questa è la prefazione al libro scritta da Luca Sofri, peraltro direttore del Post.
Un’analisi del pensiero, della comunicazione e della strada fatta da Matteo Renzi attraverso i suoi tweet suona a una prima riflessione un po’ troppo precocemente agiografica. Non è tanto che lui abbia solo 40 anni – sai le cose che si possono fare, dire e pensare, in 40 anni – ma che la sua storia pubblica e politica sembri così giovane, precipitosa, appena abbozzata, da poterli avere costruiti davvero, un pensiero e un’identità comunicativa e pubblica solidi abbastanza. Solidi abbastanza per un’analisi dell’estensione e della profondità che si propone questo libro.
Aggiungete, anzi, un tratto peculiare e modernissimo dell’immagine pubblica di Matteo Renzi, vanamente irriso dai suoi critici e celebrato dai suoi sostenitori: la sua superficialità, che gli ha attirato paragoni sprezzanti con le figure canoniche dei grandi leader politici, e alzate di spalle da parte di molti di quelli che avrebbe poi rapidamente seppellito. I quali non hanno capito in tempo – forse neanche ora – che il cambiamento e la rivoluzione implicano un cambiamento e una rivoluzione: non si trasforma tutto facendo le cose come quelli di prima.
La superficialità di Matteo Renzi è infatti quella raccontata precocemente da Alessandro Baricco nel suo libro sui Barbari, quella del saper stare sulla superficie, governare la tavola da surf, muoversi velocemente sopra le profondità, con la duttilità necessaria alle continue variazioni delle onde e della superficie stessa.
Sono tempi che cambiano continuamente, è persino un luogo comune, e non li si controlla con i grandi principi radicati e le ideologie solide da declinare: li si governa con la duttilità che convive con la superficialità. E però quella superficialità e duttilità, per quanto si sia capaci – o disposti – di coglierne i pregi, complicano di nuovo l’analisi, e ancora di più la sintesi. Oppure lo sono, la sintesi. Matteo Renzi forse non è: in contrapposizione a ciò che le analisi cercano di spiegare, quello che le cose o le persone sono. E per confermarne la coerenza coi tempi, un’altra cosa che Renzi è, è un “aggregatore”, o un deejay, per usare una categoria più antica. Raccoglie, assorbe, seleziona, distribuisce dopo aver confezionato con uno stile suo, che quello esiste sì, e sta anche nei suoi tweet.
In un primo periodo in cui la sua campagna politica nazionale era fatta tutta di comunicazione e messaggi, e di nessun fatto – non aveva nessun ruolo e nessun potere ancora – Renzi twittava moltissimo e stava moltissimo su Twitter. Poi è diventato insieme e precipitosamente leader del maggiore partito italiano e presidente del Consiglio e ci sono voluti impegni di questa dimensione per staccarlo un po’ da Twitter. Allora, chi lo incontrava lo raccontava intento in ogni pausa a consultare il suo iPhone, e i suoi follower ne ricevevano i messaggi un attimo dopo averlo visto inquadrato in una diretta televisiva, o un attimo prima. È rimasta famosa la volta – era già capo del Governo – in cui consultò l’iPhone anche durante una conferenza stampa in diretta tv, per poi riferire a tutto il paese un sms dalla 7 che gli chiedeva di aspettare la fine della pubblicità per iniziare (sms proveniente dal direttore del Tg, si disse, e lui non smentì).
E in quel periodo fu raccontata la scelta di Renzi di consegnare a un suo collaboratore l’iPhone in momenti in cui si voleva imporre delle pause (una specie di Ulisse con le sirene), mentre sui quotidiani uscirono articoli dedicati alla sua assenza da Twitter per oltre una settimana (articoli a cui Renzi rispose rapidamente, con un tweet).
Testi troppo brevi, difficile elaborare un pensiero, manca di profondità, dicono di Twitter i suoi detrattori. Può darsi che proprio questo ne abbia fatto il mezzo di comunicazione più assiduamente usato da Matteo Renzi e più efficace per la sua celebrata “velocità”, brillantezza di battuta, brevità di messaggio (i media tradizionali vanno matti per la brevità di messaggio politico, perché è facile da diffondere e si presta a mille ambigue forzature e spacci: è la complessità che non sanno rendere). Prendete l’uso e le declinazioni dei termini “gufi” e “gufare”, così frequenti nei suoi tweet del 2014: sono un esempio della ricerca di brevità ed efficacia insieme, quattro lettere al posto di “coloro che scommettevano sul nostro fallimento”, come avrebbe detto qualunque altro politico. E può darsi che non siano solo i troppi impegni a tenere Renzi – nei suoi più recenti mesi da primo ministro – più lontano da Twitter, dove si fa vivo con minor frequenza. Chiunque abbia seguito i suoi versatili interventi sui temi più vari delle scelte della politica ha infatti notato una crescita di competenze sempre maggiore, una strutturazione di pensieri e applicazioni, forse persino un’idea di Italia e di futuro fatta non solo di singoli aneddoti ed esempi: di sicuro tante idee di pezzi dell’Italia su cui intervenire, qualcosa che si avvicina a una “profondità”, o almeno a una visione articolata e complessa. Difficile da ridurre su Twitter, dove ultimamente Renzi sembra parlare più per slogan e annunci formali.
Forse è questo che dimostrerà un futuro aggiornamento di questo libro sulla comunicazione di Renzi: se un cambiamento fallisce, quando si normalizza, o se quando si normalizza è perché ha vinto. Lo capiremo, probabilmente, leggendo i tweet di @matteorenzi.