La legge sul cognome dei figli
Cosa prevedono le norme in discussione alla Camera, che permetteranno ai genitori di decidere quale cognome dare ai nuovi nati
Lunedì 14 luglio è iniziata alla Camera la discussione di una legge sul cognome da dare ai propri figli e alle proprie figlie. Secondo il testo unitario approvato dalla commissione Giustizia, con la nuova legge subito dopo la nascita si potrà scegliere tra quello del padre, quello della madre e quello di entrambi. Il disegno di legge era stato presentato dal governo Letta lo scorso gennaio, dopo che la Corte europea dei diritti umani aveva stabilito che l’attribuzione automatica del cognome del padre – con cancellazione altrettanto automatica della genealogia materna – rappresentasse una chiara discriminazione basata sul sesso, in particolare dell’articolo 14 e dell’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo. La legge è stata votata in commissione all’unanimità, ci si aspetta un’approvazione definitiva in tempi rapidi.
La Corte europea aveva infatti accettato la richiesta fatta da Alessandra Cusan e Luigi Fazzo, due coniugi di Milano che nel 2006 avevano denunciato le norme italiane che rendevano difficile – se non praticamente impossibile – scegliere il cognome per i propri figli. Ma c’erano state anche delle raccomandazioni precedenti: già nel 1995 e poi nel 1998 il Consiglio d’Europa aveva affermato che mantenere come automatismo l’attribuzione del cognome del padre non era compatibile con il principio di uguaglianza sostenuto dal Consiglio stesso. Nel 2006, inoltre, la Corte Costituzionale con la sentenza numero 61 aveva affermato che il sistema dell’attribuzione del cognome paterno in Italia era un «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».
Come funziona oggi
In Italia dal 2000 è possibile cambiare cognome e prendere quello materno, anche se la procedura è piuttosto macchinosa: è basata sul decreto del presidente della Repubblica numero 396 del 2000, che permette di fare richiesta al prefetto della propria città per un cambio di cognome – compresa quindi l’adozione del cognome materno insieme o in sostituzione di quello paterno. Bisogna inviare una lettera al prefetto, a quel punto la richiesta deve essere pubblicata nell’albo pretorio del comune di residenza per 30 giorni, che è pubblico (questa misura serve, in teoria, a dare la possibilità di opporsi al cambio di cognome a chi ne avesse l’intenzione). Successivamente bisogna scrivere una nuova lettera al prefetto, accompagnata dai documenti che provano che la richiesta è stata pubblicata nell’albo per 30 giorni. Se a quel punto nessuno si è dimostrato contrario e il prefetto giudica valide le motivazioni, il cambio di cognome viene effettuato.
«Le richieste devono rivestire carattere eccezionale e sono ammesse esclusivamente in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, supportate da adeguata documentazione e da significative motivazioni», si legge sul sito del Ministero dell’Interno. Tra le “rilevanti” motivazioni ce ne sono sostanzialmente di due tipologie principali: in caso di cognome “ridicolo o vergognoso” o per ragioni “affettive”. In questa breve guida sul “come fare”, viene riportato un esempio di motivazione da allegare alla domanda:
La mia richiesta è motivata, in primo luogo, da ragioni affettive e sentimentali, ma anche dal bisogno di avere nel cognome la corretta rappresentazione simbolica della mia identità.
Io mi sento molto legato al ricordo di mia madre, essa è stata la persona che più di ogni altra mi ha aiutato ad affrontare le avversità della vita, e per questo vorrei tributarle questo omaggio. (…)
Avendo mia madre contribuito in modo determinante a forgiare la mia identità morale e spirituale, ed essendo stata per me la persona di riferimento che ha seguito tutte le fasi della mia crescita umana, ritengo che essere privato, come attualmente sono del suo cognome, comporti, nella rappresentazione simbolica della mia identità pubblica, un occultamento significativo e mortificante di una parte di me stesso.
Credo dunque che solo con l’aggiunta del cognome materno, posposto a quello paterno che già porto, di potermi identificare correttamente e rappresentare simbolicamente agli altri per ciò che sono: e cioè con pienezza e integrità di rimandi a quelle figure parentali che sono tuttora la linfa vitale della mia personalità.
Oltre al fatto che l’aggiunta del cognome materno rappresenta una sorta di “concessione” fatta a fronte di una motivazione, e non un diritto, queste regole in pratica non hanno cambiato il fatto che al momento della nascita non è possibile dare al proprio figlio un cognome diverso da quello del padre.
Come funzionerà
Il testo unificato approvato dalla commissione Giustizia e attualmente in discussione ala Camera è composto di sette articoli. I primi quattro contengono le principali modifiche.
All’articolo 1 si afferma che alla nascita, il figlio di genitori coniugati potrà avere il cognome del padre o della madre o il doppio cognome, secondo quanto decidono insieme i genitori. In caso di mancato accordo il figlio avrà il cognome di entrambi, in ordine alfabetico. Gli eventuali successivi figli della coppia porteranno obbligatoriamente lo stesso doppio cognome del primogenito/a. Il figlio al quale è stato attribuito il cognome di entrambi i genitori potrà infine trasmettere al proprio figlio soltanto un cognome, a sua scelta. Non è insomma pensabile il quadruplo cognome e così via: il padre e la madre potranno trasmettere uno solo dei rispettivi doppi cognomi.
All’articolo 2 si precisa la situazione per i nati fuori del matrimonio: se riconosciuti dai due genitori, vale la regola prevista dall’articolo 1. In caso, invece, di riconoscimento tardivo da parte di un genitore, il cognome si aggiunge solo se c’è il consenso dell’altro genitore e dello stesso minore se almeno quattordicenne. L’articolo 3 si occupa dei figli adottivi: il cognome (uno soltanto) da anteporre a quello originario è deciso dai coniugi, ma se manca l’accordo si segue l’ordine alfabetico. Chi ha il doppio cognome potrà trasmetterne al figlio soltanto uno, a sua scelta. L’articolo 4 prevede che la figlia o il figlio che hanno il solo cognome paterno (o, caso più raro, materno) una volta maggiorenni possano aggiungere il cognome del secondo genitore con una semplice dichiarazione all’ufficiale di stato civile. Se però un genitore non li ha riconosciuti, non possono prenderne il cognome.
Che tempi ha la legge
Dopo il voto alla Camera e al Senato, che dovrebbero arrivare in tempi brevi, le nuove norme non saranno immediatamente operative. L’applicazione della norma è infatti subordinata all’entrata in vigore del regolamento che deve adeguare l’ordinamento dello stato civile. Il ministero dell’Interno ha un anno di tempo per provvedere.
Critiche
Per protestare contro l’automatismo italiano nell’attribuzione del cognome, negli ultimi anni erano nati diversi gruppi e erano state avviate numerose campagne di sensibilizzazione: quella di Equality Italia, per esempio, o quella di Cognomematerno.it promossa da Iole Natoli già dal 1979. Proprio Natoli – rivolgendosi soprattutto a chi sosteneva in modo sbrigativo che la riforma costituisse una nuova fine per il patriarcato – ha rivolto due critiche puntuali al ddl in discussione.
La prima riguarda l’eventuale ordine alfabetico in caso di disaccordo tra i genitori: secondo Natoli è «una scorciatoia» che cancella la relazione primaria e la prossimità neonatale che è con la madre («l’unica relazione reale rilevabile al tempo della nascita» è con la madre). Il primo cognome dovrebbe insomma essere quello materno. La seconda critica riguarda l’articolo 4: mentre ai genitori è concesso di attribuire solo il cognome della madre, solo il cognome del padre o entrambi secondo un ordine concordato, al figlio «è concesso soltanto di aggiungere il cognome dell’altro genitore ove ne abbia ricevuto uno solo. Non può modificare la sequenza dei cognomi, né sopprimerne uno». Entrambe le critiche rilevano insomma come il diritto di trasmissione del cognome da parte dei genitori continui a prevalere sul diritto di acquisto da parte del figlio e della figlia. In poche parole «non smette di agire il concetto di potestà genitoriale, basata sull’idea dei figli come proprietà, fondamento del patriarcato. Da questo punto di vista, quindi, si permane in un’ottica patriarcale».