I problemi tra curdi e governo iracheno
I curdi hanno conquistato altri due giacimenti di petrolio a Kirkuk e hanno detto che boicotteranno il parlamento, il governo sciita ha risposto licenziando un ministro curdo
Negli ultimi giorni la crisi irachena – che va avanti da diverse settimane e che riguarda principalmente lo scontro tra l’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, gruppo estremista sunnita che vuole instaurare un califfato nella regione) e il governo sciita di Baghdad – ha cominciato a coinvolgere sempre di più anche i curdi. Venerdì le milizie autonome curde conosciute come “Peshmerga” hanno preso il controllo di due giacimenti di petrolio nella provincia contesa di Kirkuk, cacciando i lavoratori arabi. Per il ministro del Petrolio iracheno Assam Jihad, «quelli sono due tra i giacimenti migliori in Iraq per l’estrazione di petrolio» e producono 400mila barili di greggio al giorno (negli ultimi mesi la produzione comunque è diminuita).
Meno di due ore dopo a Baghdad il primo ministro iracheno sciita Nuri al-Maliki ha sostituito il ministro degli Esteri, il curdo Hoshyar Zebari, con uno sciita fedele alla linea governativa, Hussain Shahristani. La reazione dei curdi è stata molto dura: il ministro degli Esteri del governo regionale del Kurdistan iracheno ha detto: «Con la sua decisione, il primo ministro non lascia alcuno spazio per un potere condiviso. Se i nostri ministri si fossero dimessi dal governo, o se ci fossimo ritirati interamente dal governo, allora sarebbe diverso, ma in questo momento stiamo ancora partecipando al processo politico dell’Iraq». Intanto però i parlamentari curdi hanno cominciato a boicottare il parlamento nazionale, per protestare contro al-Maliki che ha accusato di recente i leader curdi di Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno, di dare protezione ai miliziani sunniti che stanno combattendo il governo.
Nonostante l’avanzata dei curdi nella provincia di Kirkuk, comunque, le speranze del Kurdistan iracheno di ottenere nel breve periodo l’indipendenza dal governo centrale di Baghdad sembrano essersi ulteriormente indebolite. Goran Azad Mohammed, un membro della commissione parlamentare che si sta occupando di fare un lavoro preparatorio su un possibile referendum sull’indipendenza del Kurdistan, ha detto al Wall Street Journal: «Alcune persone hanno l’impressione che un referendum sia imminente, ma non è così. Per il momento possiamo solo aumentare la pressione sul governo di Baghdad. Lo stesso presidente [Massud Barzani, presidente del governo regionale del Kurdistan] mi ha detto che la priorità ora è un referendum sui territori contestati, mentre l’indipendenza può aspettare». Il referendum sui territori contestati si sta preparando in questi ultimi giorni per stabilire lo status della provincia di Kirkuk, e dovrebbe tenersi entro la fine dell’estate con la supervisione dei Peshmerga.
Il ridimensionamento degli obiettivi dei curdi è stato deciso per diverse ragioni, che hanno a che fare anche con l’interruzione dei pagamenti degli stipendi degli impiegati statali nel territorio del Kurdistan iracheno da parte del governo centrale di Baghdad. La decisione del governo di al-Maliki, che riguarda una lunga disputa relativa ad accordi commerciali con grandi compagnie straniere sulla vendita di petrolio, ha provocato una crisi economica piuttosto grave alla quale i curdi non sembrano essere ancora riusciti a porre rimedio. L’ipotesi dell’indipendenza, inoltre, sta trovando un appoggio solo parziale da parte degli Stati Uniti, preoccupati di una possibile divisione dell’Iraq in diverse entità statali, mentre si oppongono del tutto a un Kurdistan indipendente Iran, Siria e Turchia, gli altri paesi dell’area dove sono presenti rilevanti comunità curde. Anche Abdel Fattah al Sisi, presidente dell’Egitto, ha detto che un referendum sull’indipendenza potrebbe portare a una divisione catastrofica dell’Iraq, che potrebbe essere sfruttata dai militanti jihadisti già attivi nel paese.
Assieme all’aumento delle tensioni etniche tra sciiti e curdi, stanno aumentando anche le violenze settarie soprattutto tra sciiti e sunniti. Secondo un rapporto diffuso venerdì da Human Rights Watch, una delle organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani più autorevoli al mondo, dal 9 giugno 255 detenuti sunniti sono stati uccisi in sei città irachene a seguito di esecuzioni sommarie da parte delle forze di sicurezza sciite e di milizie affiliate al governo. Questi crimini, ha aggiunto HRW, sembrano essere delle ritorsioni alle atrocità commesse nelle ultime settimane dall’ISIS, e potrebbero essere considerati come crimini di guerra e crimini contro l’umanità.