Apologia del bucato tecnologico
«È una grande risorsa contro la nevrosi e andrebbe consigliato a chiunque sia affetto da dipendenze ossessive», scrive Giuliano Ferrara
Giuliano Ferrara sul Foglio di giovedì 10 luglio ha raccontato la sua esperienza – quasi catartica – in una lavanderia automatica di Albinia, vicino a Orbetello, e spiega come fare il bucato possa essere (o almeno così è stato per lui) una grande risorsa contro la nevrosi.
Il bucato è la grande risorsa contro la nevrosi, andrebbe consigliato a chiunque sia affetto da dipendenze ossessive, e il bucato tecnologico è ordine, lusso, calma e voluttà. Il bucato che ho fatto ieri 9 luglio ad Albinia, tra mezzogiorno e l’una, nella lavanderia automatica lava@asciuga.com, è una notizia pacifica ma per me esplosiva. Sono diminuiti in modo consistente gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (rapporto Inail 2014), parroci coraggiosi spiegano all’Ong chiesacattolica.com che senza agganciare i criminali non è facile proteggere l’ovile dai lupi, la vita tragica è dura per gli assassini del ragazzo palestinese (nelle mani della giustizia israeliana) e per il regime assassino di Hamas a Gaza (a piede libero ma colpito dal cielo e forse da terra), in Italia si protesta contro la “fretta” (avete letto bene: la fretta) con cui si procede alla riforma del bicameralismo perfetto, in Brasile una partita di calcio e un crollo nervoso di undici ragazzi diventano psicodramma nazionale, va bene, va male, ma il mio bucato è più importante, non è solo una gioia della villeggiatura, è molto di più.
Dietro la Coop della vecchia Albinia, insediamento rurale degli anni Trenta sorto all’incrocio tra il tombolo della Giannella e l’entroterra maremmano, tra la via Aurelia e la strada statale 74 a dieci chilometri da Orbetello, sorge Albinia la nuova. Un architetto di talento di cui non so il nome ha disegnato con mano elegante e realizzato un piccolo, fresco, ombroso, verde e significativo villaggio di case pastello a due piani, garbate e dotate di infrastrutture logistiche, portici, collegamenti ordinati, una piazza vagamente messicana con tabaccaio e bar Kingston. Nella piazza sotto un loggiato, inondata di luce, sta la lavanderia eco-fresh, dotata di un perfetto impianto al neon per la sera e per l’inverno, aperta tutti i santi giorni che Dio manda in terra dalle 7 alle 22, tre lavatrici da 8 chili e una da sedici più tre asciugatori di ultimissima generazione, pareti in tinta con i grigiorosa, gli arancione e il celeste e bianco del villaggio, piante grasse ornamentali, un’idea di pulito che si sposa con l’idea di bucato (perché il bucato è pratica antica e forma eidetica postmoderna), quadri qualsiasi ma non sgradevoli bene appesi ai muri (fiori acrilici, un ciclo di congiunzioni sferico-astronomiche anch’esso acrilico), istruzioni per l’uso chiare attaccate alle lavatrici e agli asciugatoi e diffuse per gli avvisi extra-ordinari in basso parete, un divieto assoluto e molto maremmano di mettere a lavare gli stivali effigiato con una specie di simbolo da codice stradale appiccicato agli oblò delle macchine, una sputagettoni perfettamente funzionante, uno sputadetersivi ricco di offerte diverse e anch’esso scattante (c’è anche l’ammorbidente, ma a me sembra un ritrovato stupido come le botteghe di estetica in paese e la raccolta differenziata, anch’esse ahimè in crescita sulla scala nazionale del controllo domestico-statale e della vanità civilizzatrice), un cestino indifferenziato per i rifiuti, pulito e color caramello, un set di contenitori dei panni di perfetto design plastico in assetto carta da zucchero, più un serbatoio trasparente, un rotolo di carta scottex a buon bisogno col suo apposito srotolatore, sedie per l’attesa, tavoli per la distensione e piegatura del bucato appena fatto.