Perché Renzi litiga con la Germania?
C'entrano il semestre europeo, il debito pubblico e la famosa "flessibilità" (e che cos'è?)
Negli ultimi giorni i principali giornali italiani hanno titolato sullo “scontro” tra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e i “tedeschi”. Effettivamente è stata una settimana di dichiarazioni piuttosto tese tra Renzi e diversi politici e funzionari tedeschi sul tema della flessibilità (ora cercheremo di capire che cosa significa).
Cosa è successo?
Giovedì 3 luglio Jens Weidmann, il presidente della banca centrale tedesca, ha fatto alcuni commenti piuttosto duri nei confronti dell’Italia. Secondo Weidmann, per quanto riguarda le riforme c’è bisogno di «più atti concreti e meno parole». Weidmann, 46 anni, ex consigliere economico del cancelliere Angela Merkel, è considerato un “falco” favorevole a politiche molto rigorose, e ostile ad alcune delle misure prese dal governatore della BCE Mario Draghi. Precisazione: nessun esponente del governo italiano ha polemizzato con esponenti del governo tedesco, e il portavoce della cancelliera Angela Merkel ha rifiutato di commentare la vicenda, dicendo che la banca centrale tedesca è un’istituzione indipendente dal governo.
Le dichiarazioni di Weidmann non sono le uniche critiche arrivate dalla Germania negli ultimi giorni. Dopo il discorso inaugurale del semestre Europeo a Strasburgo, Renzi è stato criticato dal capogruppo del Partito Popolare Europeo (PPE), il tedesco Manfred Weber, che ha detto di essere contrario alla richiesta italiana di maggiore “flessibilità”. Renzi ha ricordato a Weber che i guai dell’Italia si devono anche ai governi di un suo collega di partito, facendo riferimento all’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, e che la Germania dieci anni fa violò i parametri finanziari europei per rimettere in moto la sua economia.
Renzi ha poi replicato piuttosto duramente a Weidmann, anche se non lo hai mai nominato esplicitamente. Venerdì 4 luglio, durante la conferenza stampa congiunta con il presidente uscente della commissione José Manuel Barroso, Renzi ha detto: «Il compito della Bundesbank è assicurare il proprio obiettivo statutario, non partecipare al dibattito politico italiano. Quando vuole parlare è la benvenuta partendo dall’assunto che l’Europa è dei cittadini, non dei banchieri né tedeschi né italiani». E ha aggiunto: «La flessibilità non è una richiesta dell’Italia: serve all’Europa, non a noi».
Ma che cosa diavolo è la flessibilità?
A sentire le parole dei protagonisti, lo scontro è stato principalmente attorno al tema della flessibilità, con i tedeschi a dire che è necessario fare riforme e non aumentare il debito e il governo italiano a insistere sulla necessità di flessibilità. Ma che cos’è questa flessibilità e cosa c’entra con il debito e le riforme?
Gli stati membri dell’Unione Europea devono rispettare una serie di obblighi nei loro bilanci pubblici. Ad esempio la famosa regola che vieta di fare più del tre per cento di deficit. Sono regole pensate per evitare che i singoli stati membri intraprendano politiche di bilancio troppo sbilanciate e per cercare di armonizzare le economie dell’Ue. Il problema è che queste regole sono anche piuttosto rigide: negli ultimi anni di crisi molti commentatori ed economisti hanno scritto che è sbagliato mantenere regole così rigide anche in un periodo di crisi economica: il tema è comunque molto dibattuto.
Quello che Renzi ha spesso detto è proprio che bisognerebbe introdurre dei criteri di maggiore flessibilità per dare la possibilità, in alcune circostanze, di derogare a queste regole. Come farlo, però, è tutto un altro discorso. Negli ultimi mesi si sono succedute diverse proposte, quasi mai ufficiali e spesso frutto di indiscrezioni e “voci di corridoio”. Una delle più discusse è la possibilità di scorporare dal computo del defiti i cofinanziamenti ai progetti finanziati con i soldi europei. In sostanza: l’Unione Europea versa all’Italia circa dieci miliardi di euro ogni anno. Questo denaro viene utilizzato per finanziare numerosi progetti, e in genere al finanziamento il governo italiano partecipa con il cinquanta per cento.
Togliere questo “cofinanziamento” dal conteggio del deficit significherebbe poter spendere altro denaro pubblico in altri progetti senza rischiare di avvicinarsi alla soglia del 3 per cento di deficit. Altre proposte riguardano l’esclusione dal computo del deficit del denaro pubblico speso per investimenti, ad esempio quelli in infrastrutture. In passato si è vociferato (anche se nessun esponente di governo ha mai confermato questo progetto) di sforare semplicemente il 3 per cento oppure di aumentare il deficit per portarlo dall’attuale 2,6-2,8% fino al limite massimo del 3. Negli ultimi giorni, Renzi ha spesso parlato della possibilità di consentire una certa flessibilità ai paesi che fanno le riforme. Quali riforma e quanta flessibilità dovrebbe corrispondere a quali riforme non è stato ancora chiarito, così come non è chiaro, aldilà delle dichiarazioni, a che punto siano le discussioni su questi temi con gli altri paesi europei.
Tutti questi piani prevedono, in un modo o nell’altro, di aumentare il debito pubblico, perché se aumenta il deficit, bisogna fare più debito per coprirlo. Per questo motivo, quando Weidmann ha detto che fare più debito non è la soluzione è stato piuttosto evidente che si riferisse all’Italia. In ogni caso, come a volte hanno dichiarato gli stessi esponenti del governo italiano, nei vari trattati europei ci sono già alcune regole che consentono una certa flessibilità, e lo stesso concetto è stato ribadito anche da Barroso durante la conferenza stampa di giovedì. Ad esempio: quando un paese supera un deficit del 3 per cento non scattano immediatamente sanzioni o altre punizioni. In teoria la Commissione Europea dovrebbe aprire una cosiddetta “procedura per deficit eccessivo”, un procedimento lungo e bizantino che alla fine può portare anche a multe o ammende e che va approvato con un voto dal Consiglio Europeo (l’organo che riunisce i ministri e i capi di governo dei paesi membri dell’Unione).
Prima di aprire questa procedura, è scritto nei trattati, la Commissione Europea deve tenere conto di una serie di fattori – ecco la flessibilità a cui si riferisce Barroso – come ad esempio la sostenibilità del sistema pensionistico del paese, eventi eccezionali che potrebbero aver motivato il disavanzo, disciplina dei conti negli ultimi anni e via dicendo. Insomma: in teoria i trattati prevedono davvero dei margini di flessibilità. Anche dove non li prevedessero, le “punizioni” per chi viola le regole non sembrano particolarmente draconiane. Attualmente undici paesi hanno in corso procedure per deficit eccessivo. Alcuni, come il Regno Unito, hanno una procedura aperta da quasi sei anni. Negli anni passati praticamente tutti i paesi europei hanno affrontare una procedure per deficit eccessivo: l’Italia ne è uscita soltanto l’anno scorso. Tutti questi sforamenti, però, non sono mai stati sanzionati.