L’omicidio di Andrés Escobar, 20 anni fa
Ai Mondiali di calcio del 1994 la Colombia fu eliminata anche a causa di un autogol di un suo difensore, che fu ucciso qualche giorno dopo a Medellín
Il 2 luglio di vent’anni fa un giocatore della nazionale di calcio della Colombia, Andrés Escobar, fu ucciso a Medellín con sei proiettili. Qualche giorno prima la Colombia aveva perso per 2-1 ai Mondiali di calcio contro gli Stati Uniti, la squadra di casa, ed era stata così eliminata al primo turno: il gol determinante per l’eliminazione della Colombia fu un autogol dello stesso Escobar.
La storia scioccante di Escobar, che tra l’altro fu ucciso un mese prima del suo matrimonio, ha segnato da lì in poi il calcio colombiano e i suoi tifosi. Carlos Valderrama – all’epoca compagno di squadra di Escobar, ma soprattutto l’uomo considerato il più forte calciatore colombiano della storia – ha da poco ricordato Escobar in un tweet; lo stesso farà la Nazionale che giocherà i quarti di finale dei Mondiali contro il Brasile a Fortaleza venerdì 4 luglio. Allo stadio saranno presenti il fratello e la sorella di Andrés Escobar: indosseranno la sua maglia con il numero 2 sulla schiena.
ANDRES ESCOBAR siempre en el corazon de todos nosotros. Jamas olvidaremos tu bondad, humildad y lucha, te extraño hermano te extraño
— Carlos Valderrama (@PibeValderramaP) 2 Luglio 2014
Buenos días, hoy hace 20 años, Andrés Escobar nos dejó, pero permanece en nuestros corazones. http://t.co/qol1Za3jVQ pic.twitter.com/p9zE81tCgK — Atlético Nacional (@nacionaloficial) 2 Luglio 2014
Andrés Escobar Saldarriaga era nato a Medellín il 13 marzo del 1967, aveva iniziato a giocare a calcio nella squadra giovanile del Colegio Calazansen per poi passare, nel 1989, all’Atlético Nacional di Medellín con cui vinse vari campionati. Fu convocato in Nazionale e giocò come titolare ai Mondiali di Italia ’90, dove la Colombia uscì agli ottavi contro il Camerun. Fu selezionato anche per i Mondiali successivi, negli Stati Uniti. Non era un fenomeno, ma era un buon difensore ed era molto popolare nel suo paese: era stimato dai tifosi e l’ambiente lo considerava una delle sue “facce pulite”.
La Colombia si presentò ai Mondiali del 1994 con una buona squadra: c’era Valderrama a centrocampo, c’erano Freddy Rincon e Faustino Asprilla in attacco, l’allenatore era Francisco Maturana, uno dei più grandi allenatori della storia del calcio sudamericano. I tifosi avevano molte speranze per il torneo, alimentate anche da una storica vittoria: il 5 settembre del 1993 a Buenos Aires la Colombia batté per 5 a 0 l’Argentina, durante l’ultima fase del “supergirone” delle qualificazioni. Ma diversi episodi contribuirono a destabilizzare la squadra: qualche mese prima dell’inizio dei Mondiali il figlio più piccolo del centrocampista Luis Fernando Herrera venne rapito, mentre il leggendario portiere René Higuita fu costretto a non partecipare al torneo (passò sette mesi in carcere nel 1993 per aver fatto da intermediario in un sequestro di persona).
Nella sua partita d’esordio, la Colombia perse 3-1 contro la Romania. A quel punto la nazionale doveva vincere a tutti i costi la partita successiva, quella contro gli Stati Uniti. Poche ore prima della partita, all’hotel dove era alloggiata la squadra arrivarono delle minacce di morte contro il centrocampista Gabriel Jaime Gómez Jaramillo, ritenuto responsabile della sconfitta contro la Romania: lui si rifiutò di giocare. La partita contro gli Stati Uniti si giocò il 22 giugno del 1994. Intorno alla mezzora del primo tempo il giocatore statunitense Harkes si liberò sulla fascia sinistra e tirò un cross basso nell’area colombiana. Andrés Escobar intervenne in scivolata ma la sua deviazione finì alle spalle del portiere. Escobar restò a lungo steso a terra. Al minuto 52 Earnie Stewart realizzò il 2-0. La partita finì 2-1: a tempo praticamente scaduto Valencia segnò un gol che fu però inutile. Dopo due partite la Colombia era già matematicamente eliminata.
Quando il 29 giugno la squadra rientrò in Colombia, all’aeroporto di Medellín non c’era quasi nessuno. Per Escobar erano venuti la sua fidanzata e qualche parente. Gli ultimi giorni di vita di Escobar furono ricostruiti qualche giorno dopo la sua morte dal quotidiano locale El Tiempo: dopo il suo arrivo a Medellín, Escobar frequentò diversi locali, insieme ad alcuni amici. Sabato 2 luglio finì in una discoteca del centro, dove rimase fino a circa le quattro del mattino. Da qui in poi, su quello che successe, ci sono diverse versioni. La maggior parte dei testimoni ha raccontato che Escobar era andato nel parcheggio di un altro locale notturno, di fronte al primo, dove aveva lasciato la macchina. Sembra che qui sia nata una lite con alcuni uomini a bordo di una Toyota Land Cruiser nera, che l’avrebbero insultato (secondo un’altra versione non ci fu invece alcuna lite). Quel che è certo è che uno di questi uomini, l’ex guardia giurata Humberto Muñoz Castro, lo colpì con 6 proiettili (e non 12 come sostenuto inizialmente). Escobar morì poco dopo.
Castro confessò e fu condannato a 43 anni di carcere: tornò in libertà nel 2005 in seguito a uno sconto di pena molto contestato. Sui reali moventi dell’omicidio non è stata però fatta chiarezza e le indagini hanno concluso che non ci fosse mai stato un piano specifico dietro l’esecuzione: in molti però sostengono che si sia trattato di una vendetta di alcuni scommettitori (probabilmente legati ai cartelli della droga) che avevano subito grosse perdite di gioco a causa dell’inaspettata eliminazione della Colombia. Ai funerali di Andrés Escobar parteciparono 120 mila persone – c’era anche César Gaviria Trujillo, allora presidente del paese.
L’omicidio di Escobar – avvenuto a torneo in corso, mentre le attenzioni di tutto il mondo erano rivolte proprio ai Mondiali di calcio – contribuì a peggiorare moltissimo l’immagine della Colombia nel mondo. Molti calciatori della Nazionale decisero di andare a giocare all’estero, temendo per la propria sicurezza. La maglia numero 2, usata da Escobar, è rimasta inutilizzata a lungo: l’ha indossata di recente solo Iván Córdoba, calciatore molto carismatico e rispettato.