Il modello della “bambina ariana” era una bambina ebrea
La foto comparve sulla prima pagina di una popolare rivista nazista: la donna oggi ha ottant'anni e ha raccontato la sua storia
Il modello del perfetto bambino ariano fu presentato nel 1935 sulla copertina di Sonne ins Haus (“Il sole in casa”), una popolare rivista tedesca per famiglie di epoca nazista che fu tra l’altro consegnata a tutti i soldati del Terzo Reich. L’immagine – una bambina di sei mesi dal viso perfettamente tondo e paffuto – era stata scelta tra un centinaio di altre foto inviate per il concorso dallo stesso ministro della Propaganda, Joseph Goebbels. Il quotidiano tedesco Bild ha però raccontato che quella bambina era in realtà ebrea, l’ha rintracciata e intervistata: si chiama Hessy Taft (a quel tempo il suo cognome era Levinson), oggi ha ottant’anni ed è docente di chimica a New York.
La storia della foto l’ha raccontata la stessa Hessy Taft in un video. I suoi genitori, che di cognome facevano Levinson, erano ebrei ed erano due cantanti d’opera. Nel 1928 si trasferirono da Riga, in Lettonia, a Berlino, sperando di fare carriera. Ebbero una figlia e quando compì sei mesi le fecero fare una fotografia nello studio di uno dei più popolari fotografi della città, Hans Ballin. Poco dopo, nel 1935, videro l’immagine pubblicata in prima pagina e circolare in milioni di copie sulla rivista nazista. Temendo che l’identità della bambina venisse scoperta, evitarono di portarla fuori da casa; quando chiesero spiegazioni al fotografo, lui rispose che aveva inviato l’immagine della bambina al concorso per «farsi beffa dei nazisti».
I nazisti non seppero mai della verità sulla foto. Nel 1938 il padre di Hessy Taft fu arrestato per un breve periodo dalle SS. Alla fine riuscì a portare tutta la famiglia prima a Parigi e poi, nel 1949, negli Stati Uniti. Racconta Hessy Tess: «Ora ci rido sopra, ma se i nazisti avessero scoperto a quel tempo chi ero veramente, una bambina perfetta di sei mesi ma ebrea e non ariana, non sarei viva. Non sarei qui a raccontarvi la mia storia».