La soluzione è dividere l’Iraq in tre?
Due studiosi sostengono che le divisioni all'origine del conflitto risalgono all'antichità, e che il ritorno a quella tradizione è inevitabile e positivo
Jamsheed K. Choksy e Carol E.B. Choksy, rispettivamente presidente del Dipartimento di Studi Eurasiatici e docente dell’Indiana University negli Stati Uniti, hanno scritto un lungo articolo in cui propongono una possibile soluzione al conflitto in Iraq, che nelle ultime settimane è diventato ancora più violento e complicato con l’avanzata degli estremisti dell’ISIS e la dissoluzione – almeno in alcune regioni – dell’esercito statale, a causa di questioni molto diverse che avevamo riassunto qui. La proposta dei due studiosi è dividere l’Iraq in tre.
Per migliaia di anni, infatti, quello che conosciamo come Iraq è stato una regione geograficamente distinta in tre parti: l’attuale conflitto e la regressione alle sue divisioni tradizionali è dunque secondo i due studiosi una cosa inevitabile, che l’invio di 300 consiglieri militari statunitensi o che i vari appelli all’unità e all’inclusività non potranno di certo evitare.
A grandi linee, si può dire che i tre principali gruppi dell’Iraq sono: i musulmani sunniti, concentrati nell’Iraq occidentale confinante con Siria, Giordania e Arabia Saudita; i musulmani sciiti, che sono maggioranza nella regione sud-orientale al confine con l’Iran; i curdi, che abitano prevalentemente al nord al confine con Turchia e Iran settentrionale. Etnicamente, gli iracheni sono costituiti per circa il 75 per cento da arabi, per il 20 per cento da curdi, e per il 5 per cento da turkmeni e assiri. Da un punto di vista religioso sono per il 65 per cento musulmani sciiti (lo sciismo è uno dei due principali rami dell’Islam), per il 30 per cento da musulmani sunniti (il sunnismo è l’altro ramo dell’Islam che è anche il maggioritario), e per il 5 per cento da cristiani e mandei, comunità di origine gnostica.
L’Iraq è dunque un paese a maggioranza sciita, ma per tutti i 24 anni di potere di Saddam Hussein gli sciiti e i curdi sono stati oppressi brutalmente dalla minoranza sunnita al potere, di cui lo stesso Hussein faceva parte. Dalla caduta di Saddam, dall’intervento militare degli Stati Uniti iniziato nel 2003 e terminato nel 2011, e dal conseguente indebolimento dei sunniti, gli sciiti sono diventati il gruppo dominante nella società irachena; ma il nuovo governo – guidato dal maggio 2006 dal primo ministro sciita Nuri al Maliki – non è riuscito a stabilizzare e a fermare le violenze settarie nel paese. Anzi, secondo alcuni le ha addirittura avallate, insieme ad altre ingiustizie e discriminazioni.
(Perché parliamo di sciiti e sunniti)
Dalla Mesopotamia all’Iraq
Durante l’età antica, nella regione della Mesopotamia fiorirono tre diverse civiltà: i sumeri a sud, gli accadi e poi i babilonesi al centro, gli assiri a nord. Quando la regione fu occupata dai persiani di Ciro il Grande – siamo nel Sesto secolo a.C. – Babilonia e Assiria (semplificando, il sud e il nord) furono amministrate come due entità separate (satrapie). Le cose restarono così dopo la conquista di Alessandro Magno, sotto i vari imperi che si succedettero e anche nella tarda antichità con i Sasanidi (l’ultima dinastia a governare la Persia prima della conquista degli arabi).
Dopo la conquista da parte degli Arabi (Settimo secolo), la fondazione di Baghdad, e sotto la dinastia dei califfi (prima quella degli omayyadi e poi quella degli abbassidi), le separazioni regionali basate su etnia, lingua e religione si rafforzarono. Il Califfato proseguì fino alla metà del Tredicesimo secolo: cioè fino a quando i Mongoli, nel 1258, ne distrussero l’ultimo residuo. Nel 1535 la Mesopotamia fu inglobata nell’impero degli Ottomani, che esercitarono il loro potere attraverso dignitari locali dotati di una certa autonomia sui vari territori. L’attuale Iraq era distribuito in tre differenti province amministrative (eyalets): Baghdad, Bassora e Mosul continuavano a rispecchiare le divisioni etnico-religiose, con una maggioranza curda nel nord, una sunnita nel centro-ovest e una sciita a sud.
Gli attuali confini del paese e la nascita dell’odierno stato iracheno sono stati stabiliti soltanto nel 1920 quando, dopo l’occupazione nella Prima guerra mondiale, l’Iran fu affidato in mandato alla Gran Bretagna dalla Società delle Nazioni. Nel 1926 fu riconosciuta l’incorporazione nel suo territorio della regione settentrionale di Mosul, già rivendicata dalla Turchia e abitata prevalentemente da curdi. Il paese divenne poi indipendente nel 1932, con la cessazione del mandato: a quel tempo era una monarchia costituzionale ereditaria. Da lì in poi la storia è piuttosto nota: una grande instabilità politica, la sanguinosa guerra durata otto anni (1980-1988) tra l’Iran dell’ayatollah Khomeini e l’Iraq di Saddam Hussein, l’invasione del Kuwait e la Prima guerra del Golfo, la caduta di Saddam nel 2003, il ritiro delle truppe americane e l’inizio di un’altra guerra: quella dei sunniti contro il nuovo potere in mano alla maggioranza sciita fino ad arrivare ad oggi: al ramo iracheno di al Qaida (anch’esso sunnita, ma il più delle volte in contrasto con i sunniti più moderati) dell’ISIS, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante che ha proclamato di recente di aver restaurato il Califfato, che ha conquistato per circa un terzo il territorio dell’Iraq e che combatte anche nella vicina Siria.
Insomma, il concetto stesso di Iraq è molto recente e tutt’altro che scontato: a guardare la storia, dicono i due studiosi, sarebbe normale pensare che il posto che chiamiamo Iraq sia composto in realtà da tre popoli diversi.
E quindi?
Scrivono i due ricercatori: «In questo momento gli sciiti, guidati dal primo ministro Nuri al-Maliki, cercano di imporre la volontà della maggioranza. Non sorprende che la loro autorità sia violentemente respinta non solo dagli estremisti sunniti dell’ISIS, ma anche dalle tribù di sunniti più moderate». C’è poi la questione dei curdi che godono di una certa autonomia amministrativa (la loro regione si chiama “Kurdistan iracheno”). Negli ultimi tempi i curdi si sono più volte scontrati con l’ISIS e con le altre milizie sunnite, riuscendo persino a espandere il territorio sotto il loro controllo e riempiendo il vuoto lasciato dallo sfaldamento dell’esercito regolare nel nord del paese. Per il momento i politici e i funzionari curdi dicono di obbedire ancora al governo di Baghdad, ma nessuno può dire con certezza quanto questa situazione possa durare ancora. C’è infatti il rischio che con l’aggravarsi della situazione le lotte per l’indipendenza dei curdi in Iraq si colleghino a quelle dei curdi della Turchia e dell’Iran occidentale.
Gli sciiti del sud dell’Iraq, d’altra parte, hanno come alleato politico, economico e militare il vicino Iran, sciita. L’Iran, che ha il suo confine più esteso con l’Iraq e il cui presidente Rouhani si è detto disposto a collaborare con gli Stati Uniti per risolvere la crisi, sta di fatto conducendo in territorio iracheno dei voli di ricognizione con droni, mentre da terra sarebbero già entrati equipaggiamenti militari a sostegno del governo. Nell’Iraq centrale, infine, i sunniti hanno molto più in comune con i loro vicini oltre il confine della Siria che con gli sciiti del sud e i curdi al nord. «Di conseguenza», scrivono i due ricercatori, «l’esito della lotta in corso in Iraq avrà profonde conseguenze a livello globale». E aggiungono che gli sforzi dell’Occidente non dovrebbero essere volti tanto a combattere l’ISIS bensì a unire, fornire attrezzature e sostegno ai sunniti moderati: «Solo loro, più che gli americani e gli europei, possono combattere e sconfiggere gli estremisti».
In conclusione, gli studiosi precisano: «I curdi (…) sono uniti etnicamente e linguisticamente e nel loro obiettivo di creare uno stato indipendente. Gli arabi sunniti e sciiti sono divisi da odi confessionali che risalgono alle origini dell’Islam nel Settimo secolo ed è legittimo che vogliano vivere separati. Curdi, arabi sunniti e arabi sciiti rappresentano l’ultima manifestazione dell’impostazione tripartita dell’Iraq: è giunto il momento di lasciare che la storia si ripeta, evitando che fanatici come quelli dell’ISIS se ne facciano carico».