Cosa aspettarsi dal riscaldamento globale
La storia esemplare degli abitanti di una costa americana, che non vogliono sapere se le loro case saranno sott'acqua tra un secolo: anche perché non lo possiamo sapere, se lo saranno
di Lori Montgomery – Washington Post
Willo Kelly abita in South Carolina, su quella serie di strette isole nell’Oceano Atlantico note come Outer Banks. Nel 2011 Kelly e altri residenti della sua zona furono convocati per una riunione con alcuni funzionari dello Stato che spiegarono loro che entro la fine del secolo l’oceano si sarebbe alzato di 99 centimetri e che molte delle loro case sarebbero state sommerse. Ne è nata una vicenda che, per quanto possa sembrare assurda in un primo momento, ci costringe a pensare come ci comporteremmo se dovessimo cambiare radicalmente la nostra vita oggi, per via di qualcosa che potrebbe succedere tra 100 anni.
Per spiegare la situazione, i funzionari del North Carolina avevano preparato una serie di mappe e progettavano un sito web dove i cittadini potessero capire se le loro proprietà sarebbero state coinvolte nell’innalzamento delle acque o no. Di un piano per salvare le isole non aveva neanche senso parlare: «la marea di 99 centimetri – spiega Kelly – era una condanna a morte».
Tutta una parte delle Outer Banks sarebbe stata sommersa del tutto. L’isola Roanoke sarebbe scomparsa. Anche sulla costa interna, le cose non sarebbero andate bene: il pendio dolce che arriva fino al mare sarebbe stato inondato per diversi chilometri quadrati.
Allora Kelly, che lavora come lobbista per alcune grosse aziende edili attive sulle Outer Banks, decise di dimostrare che la previsione era sbagliata: e iniziò così una delle battaglie contro il cambiamento climatico più note degli Stati Uniti.
I residenti della costa unirono le loro forze a quelle degli scettici sul cambiamento climatico per attaccare gli studi sul surriscaldamento globale e persuadere il Congresso a maggioranza repubblicana del North Carolina a seppellire la previsione dei 99 centimetri che era stata presentata da un Congresso a maggioranza democratica. Ora lo Stato sta lavorando a una nuova previsione che non guardi più in là di 30 anni e che quindi non mostri un innalzamento del mare superiore ai venti centimetri.
Gli ambientalisti sono sconcertati dalla decisione e la North Carolina è stata presa in giro e presentata come un posto di avidi costruttori che vogliono mettere fuori legge il riscaldamento globale. Alcuni esperti del cambiamento climatico, tuttavia, si sono mostrati in un certo senso solidali con la protesta degli abitanti delle Outer Banks e qualcuno ha detto che la loro reazione di paura è comprensibile visto che le prove sul cambiamento climatico si stanno facendo sempre più precise.
«Il primo problema che hanno è la paura», ha spiegato Michael Orbach, professore di politiche ambientali alla Duke University che ha incontrato Kelly. «Si rendono conto che la previsione avrà un impatto enorme sull’economia della zona costiera e sugli interessi dei costruttori della zona. E sanno che, per ora, non sappiamo ancora come reagire».
Altre città americane, come Norfolk e Miami, hanno accettato la previsione sull’innalzamento dei mari identificando le zone che verranno sommerse e cominciando a cercare i fondi per finanziare i programmi per la loro salvaguardia: dighe, argini, innalzamenti e altri interventi simili. Sulle isolate coste degli Stati Uniti, tuttavia, gli aiuti statali sembrano meno probabili e le previsioni stanno generando molta ansia sul futuro.
Nelle enclave costiere dove vivono isolati i miliardari del paese, da diverso tempo sono iniziati dei lavori per proteggere la costa e le enormi ville dalla futura alta marea. Ma opzioni simili non sono percorribili sulle Outer Banks, una striscia sottile di isole punteggiata di trafficate città turistiche, isolati villaggi di pescatori e tratti di costa selvatica. In alcuni tratti le isole sono larghe meno di 90 metri. «Non ci danno alternative se non ritirarci» ha spiegato Kelly poche settimane fa, mentre parlavamo in un bar che sarebbe sott’acqua se il mare salisse di 99 centimetri. «Quello che hanno in testa è che la gente se ne dovrà andare».
Ma ancora prima che questo accada, Kelly teme che accettare la previsione dei 99 centimetri distrugga l’economia locale, che si basa quasi interamente sul turismo e sulla costruzione, vendita e affitto di case per le vacanze. Nella contea più grande delle Outer Banks, Dare County, sono state individuate 8.500 strutture con un valore complessivo di 1,4 miliardi di dollari (1 miliardo di euro circa) che verrebbero sommerse se la previsione dovesse verificarsi.
Anche con la più modesta previsione di 20 centimetri, 414 proprietà, per 70 milioni di dollari di valore, sarebbero destinate ad andare sott’acqua. Se il sito web di cui avevano parlato i funzionari statali dovesse essere attivato, i potenziali investitori potrebbero cercare le aree e le case per indirizzo e, spiega Kelly, «le proprietà coinvolte dall’innalzamento dei mari sarebbero improvvisamente senza valore».
Risky Business Project, un influente gruppo si politici e imprenditori che si sta occupando della questione, sostiene che se non si interverrà, proprietà per un valore di 700 miliardi di dollari potrebbero ritrovarsi sotto il livello del mare in tutto il paese entro la fine del secolo e altre, per un valore totale di 730 miliardi, sarebbero comunque a rischio a causa dell’alta marea.
Per ora le cose non stanno ancora andando male sulle Outer Banks. I permessi edilizi sono ancora molto richiesti e la stagione turistica si annuncia particolarmente affollata. Anzi, dopo che negli ultimi anni alcune contee si sono impegnate in lavori di sistemazione della costa e delle spiagge (dopo che l’erosione aveva fatto sparire i terreni di diverse case), gli affari sono anche migliorati. La crescita delle spiagge artificiali, tuttavia, ha causato la preoccupazione degli ambientalisti: per secoli le isole hanno modificato i loro confini col mare e gli insediamenti umani si sono spostati con loro. «Alcuni lo chiamano innalzamento del mare, ma vista da qui è l’erosione della spiaggia e ci abbiamo convissuto da sempre», dice il responsabile della contea di Dare. Recentemente però, le Outer Banks sono diventate così densamente costruite che le case minacciate non possono più spostarsi come un tempo.
La sistemazione artificiale delle spiagge offre una soluzione temporanea. Se il mare si alza troppo, però, la soluzione «smette di essere economicamente valida e diventa chiaro che va fatto qualcosa d’altro», ha spiegato Spencer Roger, esperto di erosione della North Carolina Sea Grant. «Se le cose si mettono male come è stato previsto non ci sarà altra scelta se non abbandonare le case».
Bobby Outten, che si sta occupando della sistemazione costiera della contea di Dare, è d’accordo sul fatto che quelle adottate per ora siano soluzioni temporanee, tuttavia non vede alternative. «Cosa dovremmo chiedere alle persone di fare? Dovremmo dire a tutti di trasferirsi da qualche altra parte? Parlare di evacuazione – ha detto Outen – è assurdo. La gente si asserraglierebbe con i fucili».
E in effetti è quello che è quasi successo nel 2011, quando la previsione dei 99 centimetri fu diffusa per la prima volta. La commissione per la salvaguardia costiera del North Carolina aveva chiesto al suo comitato scientifico di valutare le prospettiva e le vulnerabilità di 20 contee costiere in caso di innalzamento del mare. La prima conclusione del comitato fu una previsione, coerente con molte altre disponibili, di un innalzamento vagamente collocato tra 15 e 55 centimetri nel corso del secolo successivo. Il comitato tuttavia decise di spingersi più in là con il lavoro e concluse che, per una pianificazione a lungo termine, lo Stato avrebbe dovuto considerare un più esatto innalzamento del mare di 99 centimetri entro il 2100.
Quando la previsione fu resa nota agli amministratori locali delle Outer Banks, si scoperchiò il vaso di Pandora. «Alle contee locali fu chiesto di elevare le strade, alzare i ponti e terrazzare intere aree. Ogni abitazione coinvolta dalla previsione dei 99 centimetri avrebbe dovuto essere dichiarata inabitabile e abbandonata», spiega John Droz, un fisico a cui fu chiesta una controperizia da parte degli amministratori delle Outer Banks.
Bob Emory, presidente della commissione che aveva chiesto la previsione sul livello del mare, nega che cose del genere siano mai state chieste e dice che la ricerca fu presentata con le dovute cautele. Tuttavia quando l’ipotesi si sparse tra gli abitanti delle diverse contee, si generò molta tensione: si parlava di isole che sparivano, di chiudere i cantieri e abbandonare la strada principale che collega le isole.
La nuova maggioranza repubblicana della North Carolina, nel 2012, decise che ci si stava muovendo troppo in fretta e stabilì che la commissione preparasse una nuova valutazione di impatto dell’innalzamento del mare che tenesse conto anche di posizioni diverse sul riscaldamento globale. Il nuovo governatore dello Stato nominò come presidente della commissione per la salvaguardia costiera Frank Gorham, persona con esperienza nell’estrazione del petrolio, che pochi mesi fa ha annunciato che la nuova previsione avrebbe avuto un orizzonte di 30 anni.
Secondo Gorham «con la previsione dei 100 anni, abbiamo perso credibilità. Con un periodo di 30 anni la gente prenderà la previsione più sul serio». Spencer Rogers, che fa parte del comitato scientifico che ha formulato la previsione dei 99 centimetri, tuttavia, sostiene che la nuova previsione resti sostanzialmente in linea con quella vecchia, che prevedeva un aumento più veloce del livello del mare nella seconda metà del secolo. Questo aumento, ora, semplicemente non viene considerato dalla previsione.
Andrew Coburn, direttore del dipartimento di studi costieri della Western Carolina University, ha detto che capisce la posizione di chi vuole rimandare la discussione: «Loro dicono: come sappiamo che il mare aumenterà di 99 centimentri in 100 anni? E la verità è che con esattezza non lo sappiamo. Ma dobbiamo comunque cominciare a fare progetti a lungo termine. Loro cercano di ignorare il problema e sperano che scompaia».
Bobby Outten dice di no: «è che per ora sembra poco ragionevole investire soldi e punire i cittadini per un problema lontano 100 anni e che potrebbe non esistere. Non stiamo contraddicendo la scienza. Stiamo solo provando a essere ragionevoli».
©2014 – The Washington Post