Gavrilo Princip e gli altri
Roberto Saviano racconta la storia dietro l'«archetipo dei pretesti»: un assassinio che portò alla Prima Guerra Mondiale organizzato da goffi e giovanissimi studenti anarchici
Lo scrittore Roberto Saviano ha raccontato su Repubblica il libro Una mattina a Sarajevo, del giornalista inglese David James Smith pubblicato in Italia dalla casa editrice LEG. Il libro racconta la storia dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero austro-ungarico ucciso con un colpo di pistola dallo studente Gavrilo Princip a Sarajevo, in Bosnia, il 28 giugno 1914. Saviano riassume brevemente i preparativi per quell’attentato, organizzato da studenti anarchici fra i 16 e i 20 anni, e la goffa impreparazione con cui furono portati avanti: oltre a Princip, altri studenti avevano avuto diversi compiti nell’attentato e si erano accordati per suicidarsi una volta portato a termine. Nessuno lo fece, per motivi diversi e un po’ comici. Il mese successivo, l’Austria dichiarò guerra alla Serbia provocando diverse reazioni che avrebbero in seguito causato la Prima Guerra Mondiale.
Fu il pretesto, la miccia che incendiò la secca prateria europea. L’inizio simbolico, la scusa: non c’è libro di scuola che non ricordi così l’attentato a Sarajevo del 1914. Quel giorno è diventato l’archetipo dei pretesti. A considerarlo così, un pretesto, ci si dimentica di come andarono le cose. Pochi ricordano il nome dell’uomo che sparò, né come andò quell’attentato perpetrato tra errori ridicoli, scene persino comiche e coincidenze inaspettate. L’attentato fu opera di un ragazzino di vent’anni, fanatico, pieno di letture e di sogni nazionalisti.
Dai suoi due spari, come conseguenza, discesero trenta milioni di morti macellati nel più grande conflitto armato cui il mondo avesse mai assistito. E tutto nacque in serate passate in stanza tra amici, in pomeriggi pigri con mani dietro la nuca e occhi a fissare il soffitto, senza nemmeno i soldi per il tabacco e il vino. La storia è raccontata in Una mattina a Sarajevo di David James Smith, appena pubblicato dalla LEG, piccola, coraggiosa casa editrice goriziana. Smith racconta che negli anni precedenti all’attentato nacque un’organizzazione politico-rivoluzionaria denominata Mlada Bosna (Giovane Bosnia), che aveva come obiettivo la liberazione dall’Impero austro-ungarico. Uno dei suoi membri, il carpentiere musulmano Mehmed Mehmedbasic, aveva progettato di uccidere il generale Oskar Potiorek, governatore di Bosnia ed Erzegovina, ma quando fu annunciata l’imminente visita a Sarajevo dell’erede al trono d’Austria, il suo compagno Danilo Ilic lo convinse a cambiare bersaglio: Francesco Ferdinando sarebbe stato una vittima di maggior valore. Per raggiungere un obiettivo così alto però bisognava trovare armi e uomini. Ilic reclutò allora il suo compagno quasi ventenne di stanza, Gavrilo “Gavro” Princip, che a sua volta chiamò Nedeljko (Nedjo) Cabrinovic, operaio anarchico 19enne, e un altro amico di letture, Trifko Grabez, studente diciottenne con il sogno ossessivo di vivere in una nazione slava a cui avrebbe immolato il suo sangue.
Il legame tra loro? I libri che si scambiavano, l’odio per l’aquila asburgica, la voglia di vedere uno stato slavo indipendente e un generica inquietudine al pantano politico sociale che vedevano. Le bombe e le pistole vennero fornite da varie società segrete che, come la Mlada Bosna, covavano odio nei confronti degli Asburgo ma non avevano alcun progetto vero di riforma sociale né di insurrezione: volevano sostituire gli uomini voluti dagli Asburgo ai vertici delle istituzioni con i loro. Seppero quindi sfruttare la vampata di rabbia e temerarietà di questi studentelli e operai.
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