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  • Venerdì 27 giugno 2014

Il crollo del Pantheon

L'elenco di Mali minori che segnano le infanzie, nel nuovo libro di Simone Lenzi

Laterza ha pubblicato il libro Mali minori di Simone Lenzi, scrittore e autore del romanzo La generazione, da cui era stato tratto il film di Paolo Virzi Tutti i santi giorni, e di Sul lungomai di Livorno, nonché cantante della band dei Virginiana Miller.
Il libro è una raccolta di racconti che prendono spunto da episodi reali dell’infanzia dell’autore e di altre persone nei quali il protagonista è vittima di piccole ingiustizie, desideri non esauditi, promesse non mantenute che –  spiega Lenzi nell’introduzione – “per quanto non abbiano esiti tragici, basterebbero da sole a giustificare in coloro che ne furono vittime l’aver maturato, in età adulta, se non una visione pessimistica della vita, almeno un certo disincanto per le cose del mondo”. Sono appunto i mali minori che danno il titolo al libro.
In questo racconto, intitolato “Il crollo del Pantheon”, una rivelazione con la quale tutti abbiamo dovuto fare i conti prima o poi.

***

“Pruonto! pruonto! Parlo io con piccuolo Milo?”.
“Sì…”.
“Molto bene Milo, tu riconuosce me? Sai chi suono?”.
“Sì, sì, lo so chi sei…”.
“Me avere detto uccellino di steppa che tu preso vuoto no buono in domanda di maestra su tabelline…”.
“No, non è vero, cioè, le sapevo però…”.
“Ascolta tu piccuolo Milo, tu non potere me chiedere grande caserma di vigili di fuoco Playmuobìl se non fare più bravo in tabelline… Qui molti bambini da portare regali e io dovere essere giusto con chi più bravo, tu intende me piccuolo Milo?”.
“Sì, ma se prendo un buono la prossima volta?”.
“Se tu prendere buono io chiudere uocchio su tua figura da ciuchino… Siamo d’accordo piccuolo Milo?”.
“Va bene, però ho preso molto buono nel compito di italiano”.
“Per tuo vuoto italiano io già messo gruossa scatola Lego dentro slitta, io vecchio ma no scemo piccuolo Milo: io rispetta patti ma anche tu deve. No tabelline no Playmuobìl, d’accuordo?”.
“Ok, ok, va bene…”.

Telefonate come questa, con un Babbo Natale dal pesante quanto incomprensibile accento russo, sono una consuetudine familiare per il piccolo Milo, il quale, a differenza di molti altri bambini, ha così la possibilità di contrattare direttamente l’entità dei doni che gli spettano in base al comportamento e al rendimento scolastico.
Milo e Babbo Natale si sentono regolarmente una volta la settimana.
Le prime volte Milo risponde timidamente, per monosillabi. Con il tempo poi, ogni volta che Babbo Natale lo chiama, chiede alla madre di uscire dalla stanza.
“Lasciami da solo, per favore… Devo parlare con Babbo Natale”.
A volte vanno avanti per decine di minuti. Milo alza la posta, sindacaleggia, recrimina. Babbo Natale tiene il punto, ribatte, si arrocca. Ma alla fine concede sempre qualcosa.

Milo è un bambino fortunato. La madre è una bella signora, colta e gentile. Il padre un raffinato violinista di origine belga. Entrambi gli hanno trasmesso i bei lineamenti, le buone maniere, il gusto del bello. Dal padre Milo ha ereditato anche la credenza nel Coniglietto di Pasqua.
Con sembianze di lepre in Germania (Osterhase), conosciuto come Easter Bunny negli Stati Uniti, questo animaletto si intrufola, con il nome di Coniglietto di Pasqua, in casa di Milo, la notte della vigilia, per nascondere quegli ovetti di cioccolata che poi lui, al mattino, dovrà riuscire a scovare.
Solo che quest’anno Milo è andato con il padre in montagna, a Sauris. Sono partiti in fretta e furia: il padre aveva appena fatto in tempo a tornare nottetempo dal concerto, a farsi una doccia, mettere qualcosa in valigia e prendere Milo.
“Amore, ma gli ovetti glieli hai presi?”.
“’Azz… No, mannaggia… Siamo già fuori dall’autostrada… Non trovo neanche un autogrill”.
“Abbiamo finito la benzina papà?”, chiede Milo.
“No tesoro… È una cosa per la mamma, stai tranquillo…”, risponde il padre.
“Vabbè dai… Secondo me neanche se ne accorge… Ti richiamo dopo”, dice la mamma al cellulare.
Per ora, ha ragione la mamma. Le cime ancora innevate d’intorno, l’aria frizzante della montagna, e, appena arrivato, una bella colazione. Con quel prosciutto affumicato, più gentile dello speck ma altrettanto saporito, quel pane con la crosta croccante. E le caprette, e la scarpinata fino al lago. L’idea stessa di quel viaggio, lui e suo papà da soli. Tutto, insomma, cospira a far sì che, per quel giorno, Milo dimentichi il Coniglietto di Pasqua.
Al suo ritorno a casa però, con le cose familiari, torna memoria delle consuetudini.
“Mamma… Ma il Coniglietto di Pasqua in montagna non è mica venuto…”.
“Ah no?”.
“Eh no…”.
“Sai com’è Milo… Sauris è lontano, può darsi che il coniglietto fino a lassù non ci sia potuto arrivare”.
“Dici?”.
“Eh, vedrai che voleva venire ma poi come faceva poverino, tutta quella salita”.
“Sì, però quella volta che è venuto che invece eravamo in America?”.
“Sì, ma infatti è venuto Easter Bunny, quello americano”.
“Non è che è perché sono stato cattivo?”.
“Ma no, che dici… Mica sei stato così cattivo”.
Milo si chiude in camera sua. Vorrebbe telefonare a Babbo Natale per schiarirsi un po’ le idee, ma già: non lo sa mica il numero. È sempre Babbo Natale che lo chiama, tutti i sabato sera alle sette. Pensando al coniglietto, gli tornano in mente bagatelle, piccole bizze dei giorni passati, tutte le volte che ha fatto arrabbiare la mamma. Più ci pensa, più gli sembrano gravi mancanze, delitti imperdonabili. Si arrovella nelle sue colpe. Torna da sua madre.
“Mamma… ma sono stato così cattivo?”.
“Ma di che parli Milo? Ma perché?”.
“Perché il Coniglietto di Pasqua non è venuto perché sono stato cattivo… Ma io non volevo e invece…”, non ce la fa a parlare, inghiotte lacrime moccio e parole, come fanno i bambini quando piangono davvero: “Non mi ha portato gli ovetti… ma… io non volevo”.
“Milo calmati… Dài, ma cosa ti viene in mente, non sei stato cattivo…”.
“Invece sì perché ha portato gli ovetti a tutti i bambini e a me no… Ma io non volevo essere cattivo e ora da me non ci viene più…”.
A quel punto la mamma capisce di essere a un bivio: deve scegliere il male minore per il suo bambino.
“Ascolta Milo… Il Coniglietto di Pasqua non esiste… Siamo io e papà che ti nascondiamo gli ovetti… Quest’anno però ce ne siamo dimenticati, ti chiediamo scusa, è stata colpa nostra…”.
Milo singhiozza ancora un po’, poi si calma. La mamma lo abbraccia.

La morte di un dio è la morte di tutti gli dèi. Lo squarcio nel velo si allarga, la scoperta di una verità è la scoperta di tutta la verità. Milo è seduto sul letto che rimugina, mentre sua madre lo aiuta a svestirsi.
“Ma allora mamma non esiste neanche la Fatina dei Denti?”.
“No tesoro… Eravamo io e papà che ti mettevamo i soldini nel bicchiere quando perdevi un dentino”.
“Ah… Però un po’ me l’ero immaginato, sai”.
A Milo dispiace un po’ per il Coniglietto di Pasqua, perché amava l’idea di questo animaletto tutto bianco e peloso che la notte veniva a portargli gli ovetti. Pazienza invece per la Fatina dei Denti, in fondo li aveva già cambiati quasi tutti, presto sarebbe sparita comunque.
La luce è spenta, Milo è solo coi suoi pensieri e non riesce a prendere sonno. Qualcosa che era rimasto in disparte in qualche luogo della coscienza si affaccia all’improvviso a stringergli il cuore nel petto. Milo si alza e si precipita in salotto.
“Che c’è Milo, non dormi?”.
“Mamma… ma allora non esiste neanche la Befana?”.
“Ma a che pensi sciocchino… Dài, vai a letto che è tardi”.
“Dimmi la verità, ti prego”.
“No Milo… Non esiste neanche la Befana…”.
Milo è un bimbo fortunato. La madre è una bella signora, colta e gentile. Il padre un raffinato violinista di origine belga. Il nonno invece è un comandante di vascello in pensione, che, per quell’unico nipote, si è chiesto come potrebbe parlare al telefono un vecchio lappone che esiste soltanto per qualche minuto ogni sabato sera.
Lasciamo Milo in piedi davanti a sua madre, un attimo prima che faccia due più due.