Dalla palude alla giungla
Il direttore de "Linkiesta" spiega le cose che ha imparato sui giornali online venendo dalla carta stampata, ammette un "insuccesso", ma non si è pentito
Marco Alfieri è il direttore del giornale online Linkiesta – che è nato nel 2010 (alcuni mesi dopo il Post) – da quando una prima crisi del giornale portò all’allontamento del direttore e fondatore Jacopo Tondelli. Oggi Alfieri ha pubblicato una lunga riflessione su quello che ha imparato dei prodotti giornalistici online, che al Post segnaliamo volentieri perché contiene: molte intuizioni ed esperienze che condividiamo (con assai maggiori ottimismi, però, sul futuro del Post); una lucida comprensione di dinamiche e meccanismi che manca nella maggior parte dei giornali più grandi e navigati de Linkiesta: un’umile, rara ed encomiabile ammissione dei limiti di quel progetto.
Chi lavora da tanti anni nell’editoria non può non sapere come vanno davvero le cose, anche se non ce lo si dice mai per una malintesa solidarietà di casta: nel ventennio 1985-2005 la crescita pubblicitaria e il business degli allegati hanno drogato il conto economico dei giornali giustificando inefficienze, cattive gestioni manageriali e conservatorismi giornalistici, prescindendo molto spesso dall’innovazione di processo e di prodotto. Sono stati gli ultimi fuochi di un modello al capolinea: la produzione fordista di notizie generaliste basate su un monopolio (all’epoca naturale) informativo, ormai eroso dalla rivoluzione tecnologica e l’avanzata dei giganti di Silicon Valley. Quando poi sette-otto anni fa la crisi economica ha incrociato la disintermediazione tra contenuti e contenitori, la frittata era già fatta ma abbiamo continuato a fare finta di niente. Mentre il mondo dell’editoria nei paesi anglosassoni sperimenta(va), riforma(va), tenta(va) nuove vie di prodotto e di monetizzazione (anche da loro è crollata la pubblicità), in Italia si è preferito mettere la testa sotto la sabbia.
(leggi per intero su Linkiesta)