La pagina a pagamento comprata sui giornali dal governo dell’Argentina
È su Repubblica: per protestare contro la sentenza statunitense che rischia di produrre un nuovo default
Oggi su diversi giornali europei, tra cui Repubblica in Italia, è stata pubblicata una pagina a pagamento della presidenza dell’Argentina. La pagina è intitolata: “L’Argentina vuole continuare a pagare il suo debito ma non glielo lasciano fare”.
Nel lungo comunicato si spiega la posizione del governo riguardo la decisione della Corte suprema degli Stati Uniti sugli hedge funds statunitensi. La scorsa settimana, infatti, la Corte ha rifiutato l’appello del governo argentino e – confermando delle precedenti sentenze – ha deciso in via definitiva che alcuni possessori di titoli di stato argentini che non avevano accettato la ristrutturazione del debito successiva al default del 2001 (tradotto: alcuni creditori che non avevano accettato di ricevere solo una parte dei loro soldi) devono essere rimborsati al cento per cento: la cifra da pagare per l’Argentina corrisponde a 1,33 miliardi di dollari. Se l’Argentina non rimborserà questi fondi, non potrà nemmeno effettuare i pagamenti sul debito ristrutturato – quelli “ridotti” – che scadono il prossimo 30 giugno. Questo è un punto fondamentale: il giudice della Corte suprema ha infatti «ordinato alla Banca di New York e alle società di servizi di compensazione di non pagare».
Durante la crisi economica e finanziaria del 2001, l’Argentina dichiarò default su circa 100 miliardi di dollari di debito: fu cioè dichiarato che il governo non era in grado di pagare il proprio debito. Per affrontare la crisi vennero avviate delle trattative per arrivare alla cosiddetta ristrutturazione del debito: nel 2005 e nel 2010 vennero emessi nuovi titoli di stato “scontati” – cioè con rendimenti inferiori e con scadenza più lunga, trentennale – offrendoli ai creditori. Lo scambio (swap) fu accettato dal 92,4 per cento degli investitori, mentre il 7,6 degli obbligazionisti si rifiutò (i cosiddetti fondi buitres, “avvoltoio”). Questi creditori “ribelli” – tra cui anche il fondo di investimenti speculativo NML, controllato dalla Elliot Management di proprietà del miliardario statunitense Paul Singer – ricorsero allora alla giustizia statunitense, che ha dato loro ragione.
Nella pagina a pagamento del governo (pubblicata domenica anche su New York Times, Washington Post e Wall Street Journal) si spiega però che questi “fondi avvoltoio” «non sono creditori originari» ma hanno «acquistato a prezzi stracciati titoli in default dopo il concambio, all’unico scopo di agire legalmente contro il paese e al fine di ottenere un guadagno strabiliante»: il fondo NML di Singer nel 2008 per esempio ha pagato 48,7 milioni di dollari per l’acquisto di titoli dichiarati in default e la sentenza della Corte suprema gli riconosce oggi un guadagno del 1.608 per cento (pari a 832 milioni di dollari).
Il comunicato si conclude con la speranza di negoziazioni «eque ed equilibrate». Per questo il governo argentino ha chiesto la sospensione della sentenza, in modo da poter rispettare la scadenza del 30 giugno per i pagamenti pattuiti con la maggior parte dei creditori e si è detto disponibile a cercare un nuovo accordo. Il giudice che aveva condannato a pagare il 100 per cento del debito ai fondi americani ha dunque nominato l’avvocato Daniel Pollack «special master», incaricandolo cioè di condurre un nuovo negoziato tra le parti.
Le conseguenze della sentenza sarebbero molto gravi per l’Argentina: il fallimento totale del processo di ristrutturazione del debito per quello che il paese chiama «la voracità di un minuscolo gruppo di speculatori», e un nuovo default. Dal 2001, infatti, per via della sua inaffidabilità finanziaria, l’Argentina non si può finanziare sui mercati internazionali (non può vendere titoli di stato all’estero, insomma); negli ultimi mesi l’inflazione è cresciuta moltissimo e il governo è stato accusato di aver truccato i dati.