Il giornalismo è “informazione” o “contenuto”?
E i lettori devono essere informati o intrattenuti? Jeff Israely prova a rispondere alla domanda delle domande del giornalismo online, partendo dall'oroscopo
di Jeff Israely - @jeffisraely - Direttore del giornale online Worldcrunch
Jeff Israely, giornalista, ex inviato a Roma di Time, e fondatore del sito di News Worldcrunch, ha pubblicato sul sito del Nieman Journalism Lab (un’associazione che si occupa di ricerca sul giornalismo interna all’Università di Harvard) una attualissima riflessione sul ruolo dei giornali e dei giornali online nella scelta di ciò che offrono ai lettori. E che può aiutare anche molti lettori del Post a immaginare le scelte del giornale online che stanno leggendo (e che non fa gli oroscopi, però).
«Voglio quell’oroscopo per il nostro sito! Ne va del futuro del giornalismo».
Sto scherzando, ovviamente. Giusto?
Facciamo qualche passo indietro. Si è discusso molto di come Internet elimini virtualmente le barriere sia riguardo la forma sia riguardo la sostanza dell’informazione che può essere realizzata. Le news composte da un testo scritto, per esempio, si limitavano in passato a qualcosa chiamato articolo, realizzato da giornalisti professionisti pagati da un editore. Oggi la stessa cosa può essere resa nota con un aggiornamento su Facebook, con un post su un blog, con un lavoro di fact-checking o ancora con una serie di tweet scritti da chiunque. “Postare”, nel senso di pubblicare cose online, ha assunto lo stesso significato di “pubblicare“.
Eppure, persino in questi tempi dove tutto-è-cambiato, ci sono due esempi (riguardo una cosa passata e una attuale) che ci permettono di dimostrare l’esistenza di una certa continuità con il passato.
– Nel 1996 il premio Pulitzer nella categoria Spot News Photography (che dal 2000 si chiama Breaking News Photography) fu vinto grazie a un lavoro che oggi chiameremmo di citizen journalism o di contenuti generati dagli utenti (era un reportage sull’attacco terroristico a Oklahoma City del 1995).
– Nel 2014 capita che uno dei temi più affascinanti del mese – sia online che offline – sia un libro in edizione rilegata di 700 pagine. È dura immaginarsi Tom Piketty lanciare la sua analisi di successo della diseguaglianza economica tramite il post di un blog.
Ad ogni modo, queste sono le eccezioni che proverbialmente confermano la regola: tant’è che la catena alimentare online si sta occupando di digerire vent’anni di ricerche di Piketty tramite liste e riassunti.
Già, è in arrivo una rivoluzione: l’accesso universale ai mezzi d’informazione non solo fa sì che si creino più informazioni, ma accelera anche la creazione di strumenti e di metodi per produrre le informazioni stesse; e questo alla fine della fiera aumenta ulteriormente il numero di informazioni prodotte e da diffondere. È un circolo virtuoso? Forse. Speriamo. Ciò che sappiamo per certo è che abbiamo tonnellate e tonnellate di roba!
Nonostante in passato io stesso sia stato un po’ restio a usare questa parola, per capire cosa abbiamo di fronte dobbiamo davvero parlare di contenuti. Video, Vine, foto, Instagram, infografiche, Storify: l’arte del raccontare storie sminuzzata e decostruita. Allo stesso tempo, tutti quei contenuti disponibili in varie forme diverse hanno bisogno di una piattaforma che sappia renderli fruibili. Non vogliamo solo dei buoni contenuti: vogliamo dei contenuti che possano essere condivisi. È possibile attraverso Facebook? E tramite dispositivo mobile? Il mezzo è il messaggio, sì, ma messo su una decappottabile che viaggia a 230 all’ora su un’autostrada piena di curve. Senza cinture di sicurezza.
Come direttore di un piccolo sito di notizie che copre il mondo intero, il mio compito giornaliero più importante è identico a quello dei direttori di una volta: decidere quale storia raccontare, quali temi approfondire, scegliere i toni, fare le scelte giuste, rendere il giornale armonioso. Ora, però, il mio lavoro comprende anche una confusa scelta riguardo quali nuove forme usare per diffondere un contenuto. Dobbiamo riflettere a lungo sul giusto mix per fare in modo che il sito sia interessante, dinamico e utile: capire quali storie vengono meglio fatte in un certo modo o in un altro.
Spesso il punto di partenza è decidere di cosa non occuparsi. Chiedersi quanto ci si vuole allontanare da ciò che ti rende speciale. Quali rischi ci sono nel distrarsi con altri tipi di contenuti, nell’inseguire i clic o nel fissarsi col nuovo “santo Graal”: aumentare il coinvolgimento dei lettori.
Il superato assioma dei new media di “fare ciò che si sa al meglio e aggregare il resto” è oggi un buon punto di partenza. Ma dobbiamo chiederci cosa aggregare e come farlo. I migliori lavori sul tema non dovrebbero essere definiti “aggregazione”, bensì “analisi efficace”: unire i puntini di una storia o di varie storie diffuse o scritte da altri. Gran parte del lavoro di aggregazione, però – anche se si atteggia a “ricerca” – è spazzatura. Pagine e pagine di materiale scopiazzato furtivamente, preso da cattive fonti, copiato meccanicamente o addirittura copincollato senza pensarci.
In un pezzo di febbraio del Nieman Lab, Cory Haik descrisse un esperimento che il suo digital team fece al Washington Post con le pubblicità del Super Bowl e Snapchat. A stupirmi non fu la scelta di considerare le pubblicità qualcosa di cui occuparsi, né l’esperimento con Snapchat, bensì questa frase nel secondo paragrafo: «come molti altri siti di news, abbiamo pubblicato tutti gli spot pubblicitari della serata prima della partita… e questo è stato molto positivo per il nostro traffico».
È ormai noto che non c’è niente di meglio di un po’ di traffico generato con poche risorse, anche se in questo caso tutti fanno la stessa cosa, e questo non aggiunge nulla né al ruolo delle singole testate giornalistiche né a Internet in generale. In un certo senso, è la versione dei new media di una cosa che facevano quelli della vecchia scuola: mandare il proprio giornalista a coprire la stessa partita. Più economico, certo, ma i costi sono altri. Le risorse limitate di oggi e la continua ricerca dell’attenzione fanno sì che una pagina con una dozzina di video incorporati diventi la routine: ma è possibile chiedere al Washington Post se immagina un futuro nel quale non si sentirà obbligato a postare tutte le pubblicità del Super Bowl sul proprio sito ogni singolo anno? (A meno che per questo non venga pagato: ma questo è un altro paio di maniche).
Bene o male, Worldcrunch nel suo formato corrente non ha di questi problemi: non riusciremo mai a pareggiare il lavoro di cose più grosse di noi sullo stesso contenuto aggregato. Avendo però lo stesso accesso a tutto ciò che si trova online, dobbiamo fare scelte simili su come impiegare le nostre scarse risorse in redazione.
A parte la nostra originale scorciatoia per coprire ciò che succede nel mondo (tradurre ottimi articoli scritti da altri), abbiamo anche la possibilità di creare vari tipi di contenuti. I ventenni del nostro staff hanno un’impressionante quantità di talenti diversi: Julie può tradurre articoli di politica interna o di arte dall’italiano e dallo spagnolo. Inoltre, è di fatto la nostra social media editor: è quella che sa scrivere meglio su Twitter e che inoltre trova gli animali carini in giro. Bertrand è di fatto il nostro photo editor, ma sa anche tradurre dal francese e leggere il tedesco. È al contempo il miglior correttore di bozze e il miglior utilizzatore di Photoshop: ha fatto questa cosa qui, che rende davvero giustizia alle potenzialità di Internet.
Quindi, come decidiamo cosa far fare a Bertrand e Julie ogni giorno? Beh, ok, loro fanno un po’ di tutto. Ma si occupano di alcune cose in particolare rispetto ad altre, secondo un’idea fluida di cosa è al momento Worldcrunch e di cosa può diventare.
Mi sto facendo una certa idea riguardo la creazione dei contenuti. Lasciando da parte i pezzi di economia e gli editoriali, possiamo mettere ciascun contenuto su due assi: il primo è quello dell’informare o intrattenere; il secondo quello di far risparmiare o fare sprecare tempo al lettore. Qualsiasi articolo può essere inserito all’interno di questo grafico; un pezzo di 900 parole scritto da un reporter, una striscia a fumetti di politica, una miniserie di Ken Burns, uno spiegone per punti, un quiz di Buzzfeed. Idealmente, tutti gli strumenti disponibili dovrebbero essere utilizzati per informare e intrattenere, rispettando il tempo e l’attenzione del lettore e puntando agli obbiettivi di una testata giornalistica: rispondere sia al pubblico interesse sia all’interesse del pubblico.
Personalmente, da lettore di cose digitali, io vorrei leggere un efficace pezzo da 1500 parole riguardo le scoperte di Piketty (non leggerò di certo il libro!) e saper individuare le tre migliori pubblicità del Super Bowl (sebbene se qualcuno me ne mettesse a disposizione di più, potrei anche decidere di guardarle tutte, e incolpare quel qualcuno a riguardo). Che l’obiettivo sia ottenere l’attenzione della gente o il numero delle loro carte di credito, nessuna testata online può dimenticare che far cliccare la gente o tenerla impegnata (cioè farle sprecare tempo?) non è abbastanza. Bisogna creare le condizioni affinché ritornino, e si fidino di te.
Questo ci riporta alla questione dell’oroscopo. È una questione vera: si tratta del lavoro di un nuovo e popolare astrologo italiano che si sta costruendo una sua comunità di lettori sia online sia su carta. Sia Julie sia Bertrand pensano che tradurlo in inglese ogni settimana sia stata tipo la peggiore idea che mi sia mai venuta in mente. Penso che sia una questione di gusti, forse di età e del giusto mix di temi da trattare sul sito (oltre che dell’uso delle nostre limitate forze).
La mia collega direttrice (nata dopo il 1960) è d’accordo con me. Né io né lei seguiamo i consigli delle stelle, ma siamo attratti dall’idea perché ci ricorda una cosa che un tempo era facile trovare nei giornali. Sì, un contesto creato dal passato esiste ancora. I giornali sono sempre stati pieni di contenuti che non erano giornalismo: cruciverba (il primo divoratore di tempo di una persona intelligente!), guide tv, consigli per i lettori.
La nuova domanda fondamentale per l’industria dell’informazione è: su quali contenuti – sia vecchi sia nuovi – vale la pena di investire, e quali dovrebbero essere lasciati ad altri?
Nel mio piccolo, qui a Worldcrunch, scommetterò su un astrologo italiano per attirare nuovi lettori attenti alle stelle. È una cosa che uscirà una volta a settimana, una lettura breve per lettori che possono trovarla, seguirla, condividerla o ignorarla. Inoltre, a differenza di molte cose che circolano online senza verifiche, nessuno potrà scambiarla per un pezzo giornalistico. E poi, è sempre bello dare un nome alle cose. Non è solo un “contenuto”, amici: è un oroscopo.