Che succede con la riforma del Senato?
C'è un testo che sembra finalmente condiviso da (quasi) tutti: si parla di 100 senatori e c'è una questione sull'immunità parlamentare
Negli ultimi giorni diversi quotidiani hanno scritto che sulla riforma del Senato è stata «trovata la quadra», o altre espressioni equivalenti. Per quanto ci sia ancora moltissima incertezza – come spesso succede quando si parla di cose non ancora concluse o definitive – sembra che le principali forze politiche in Parlamento stiano effettivamente arrivando a un testo condiviso. O comunque sembra mancare molto poco. Ci sono ancora punti non proprio condivisi – come la faccenda dell’immunità dei senatori – e passaggi non proprio sicuri – ad esempio, che cosa farà Forza Italia? Ma andiamo con ordine, ecco quello che è successo.
Dove eravamo rimasti?
Giusto per ricapitolare: il testo della riforma si trova al momento nella commissione Affari Costituzionali del Senato; una volta che ci sarà una versione definitiva, il testo dovrà essere votato al Senato e alla Camera per due volte con una maggioranza di almeno due terzi. Visto che si tratta di una modifica alla Costituzione, se non si riuscirà ad ottenere i due terzi dei voti la legge dovrà essere confermata da un referendum per il quale non è previsto quorum.
Una delle ultime volte in cui avevamo parlato di riforma del Senato era per la faccenda dell’ordine del giorno Calderoli, una specie di trappola parlamentare organizzata un mese fa dal relatore di minoranza Roberto Calderoli (una storia che avevamo raccontato qui). L’ordine del giorno Calderoli era passato anche grazie all’astensione del senatore PD Corradino Mineo che spiegò che nessuno lo aveva avvertito che doveva andare a votare in commissione. Mineo è sempre stato molto critico nei confronti della riforma e, insieme al senatore PD Vannino Chiti, è stato rimosso dalla commissione Affari Costituzionale (questa faccenda ha portato all’autosospensione, poi rientrata, di 14 senatori del PD).
Questi episodi, più alcuni dissidi avvenuti per lo più a porte chiuse tra Forza Italia e PD e raccontati diffusamente nei retroscena politici di questi giorni, hanno portato a un sostanziale rallentamento del progresso della riforma. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva dichiarato a maggio che entro il 10 giugno ci sarebbe stato il primo voto in Senato sulla riforma. In realtà non solo il 10 non c’è stato alcun voto, ma fino a pochi giorni fa non c’era nemmeno un testo condiviso su cui votare.
A che punto siamo
La novità è che venerdì 20 giugno i due relatori del testo in commissione, Anna Finocchiaro della maggioranza e Roberto Calderoli della minoranza, hanno depositato una serie di emendamenti condivisi al testo originale preparato dal governo per la discussione in commissione (sul blog di Stefano Ceccanti si possono leggere tutti gli emendamenti).
Secondo il nuovo testo il Senato sarà composto da cento senatori: 95 provenienti dagli enti locali e cinque nominati dal presidente della Repubblica. Dei 95 provenienti dagli enti locali, 74 saranno eletti dai consigli regionali e dalle province autonome di Trento e Bolzano tra i membri degli stessi consigli. Ogni regione eleggerà un numero di senatori in proporzione alla sua popolazione. Nessuna regione ne potrà eleggere meno di tre, tranne Molise, Val d’Aosta e province di Trento e Bolzano che ne eleggeranno uno ciascuna. Altri 21 senatori saranno eletti sempre dai consigli regionali, ma scegliendo tra i sindaci della regione. Ogni regione eleggerà un sindaco da mandare in Senato. Per presentare ulteriori emendamenti ci sarà tempo fino al 25 giugno. A quel punto la commissione dovrà approvare il testo ed inviarlo al Senato per il primo voto. Non è ancora stato deciso quando la commissione voterà il testo definitivo, ma si parla di portare il testo in Senato entro luglio.
La questione dell’immunità
Il testo originale del disegno di legge presentato dal governo in Commissione prevedeva all’articolo 6 l’eliminazione dell’immunità per i futuri senatori, riservandola soltanto ai deputati. Uno degli emendamenti presentati da Finocchiaro e Calderoli prevede l’eliminazione dell’articolo 6, ridando di fatto l’immunità anche ai senatori, oltre che ai soli deputati. L’immunità è prevista dalla Costituzione all’articolo 68, che recita:
«I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, nè può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza»
L’emendamento ha causato alcune polemiche in questi giorni, in particolare da alcuni esponenti della minoranza del PD e del Movimento 5 Stelle. Calderoli ha difeso l’emendamento, sostenendo che l’immunità deve valere per tutti i parlamentari, oppure per nessuno. Domenica 22 giugno in un’intervista a Repubblica il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, autrice del disegno di legge presentato dal governo, ha sottolineato che la scelta di ripristinare l’immunità è fatta in autonomia dai relatori al senato e non condivisa dal governo. Ha anche aggiunto che non si tratta di un punto centrale per il governo.