In Iraq stanno vincendo i curdi?
Hanno una milizia ben armata, un'economia che funziona e puntano all'indipendenza: al di là di come andrà a finire con gli estremisti dell'ISIS, potrebbero uscirne meglio di prima
Da qualche giorno gli analisti che stanno seguendo quello che succede in Iraq stanno provando a fare delle ipotesi sul possibile evolversi della crisi che ha portato a intense violenze tra sunniti e sciiti: da due settimane l’ISIS, un gruppo di estremisti islamici sunniti, ha cominciato un’offensiva con la quale è riuscito a conquistare gran parte del nord dell’Iraq, dove la maggioranza degli abitanti è sunnita. Il governo iracheno sembra in difficoltà, ma secondo molti esperti è difficile immaginare che l’ISIS riesca a estendere le sue conquiste anche alle zone a maggioranza sciita, tra cui la capitale Baghdad. D’altro canto sembra altrettanto difficile che il governo – guidato dal primo ministro sciita Nuri al-Maliki – possa riconquistare rapidamente tutto il terreno perduto.
Secondo molti analisti, indipendentemente da come finirà tra ISIS e governo in questo conflitto c’è già un vincitore. Si tratta dei curdi, la minoranza etnica che vive concentrata nel nord e nell’est del paese. In Iraq ci sono circa sei milioni di curdi che godono di una certa autonomia amministrativa (la loro regione si chiama “Kurdistan iracheno”). Negli ultimi giorni i curdi si sono più volte scontrati con l’ISIS e con le altre milizie sunnite. Spesso hanno vinto questi scontri e sono riusciti persino a espandere il territorio sotto il loro controllo, riempiendo il vuoto lasciato dallo sfaldamento dell’esercito regolare nel nord del paese. Per il momento politici e ufficiali curdi dicono di obbedire ancora al governo di Baghdad, ma nessuno può dire con certezza quanto questa situazione possa durare ancora.
Chi sono i curdi
I curdi sono un popolo di cui si è cominciato a parlare nei primi secoli del medioevo. La loro lingua – o meglio, l’insieme dei dialetti curdi – appartiene alla famiglia delle lingue indo-iraniane, che a sua volta è una sottofamiglia delle lingue indo-europee (quindi è imparentata con il farsi che si parla in Iran e non con l’arabo, che invece è una lingua semita come l’aramaico e l’ebraico). I curdi non possiedono una loro nazione, e la nascita di una nazione curda è uno dei problemi principali che preoccupano i vicini dell’Iraq: sono piuttosto sparsi nei territori di Iraq, Siria, Turchia e Iran. Soltanto in Iraq i curdi godono di una certa autonomia amministrativa: dal 1991 questa autonomia è riconosciuta formalmente, ma solo dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003 è diventata effettiva e rilevante.
Nel corso del medioevo i curdi non erano percepiti come un’etnia particolarmente distinta e si integrarono piuttosto bene con le dinastie arabe che all’epoca regnavano nel Medio Oriente. Anzi, una delle più famose dinastie dell’epoca, quella degli Ayyubidi, venne fondata da un curdo, Ṣalāḥ al-Dīn Yūsuf, più noto in Occidente come Saladino. Con il Novecento cominciò a nascere l’idea di una nazione curda e cominciarono anche i guai. Dopo la caduta dell’Impero Ottomano, centinaia di migliaia di curdi vennero deportati da varie zone della Turchia e altre migliaia furono uccise o morirono durante il viaggio. Le persecuzioni peggiori i curdi le subirono però sotto il regime di Saddam Hussein, quando contro di loro vennero condotte vere e proprie campagne militari. In uno degli attacchi più cruenti, quello nella città di Halabja nel 1988, cinquemila persone vennero uccise con armi chimiche.
Il Kurdistan iracheno, oggi
Dal 2003 il Kurdistan iracheno è diventato la parte più stabile dell’Iraq, anche se la sua amministrazione è comunque considerata corrotta e inefficiente per gli standard di un paese moderno. I curdi hanno mantenuto più o meno intatte le loro milizie di autodifesa: i Peshmerga, o “coloro che fronteggiano la morte”. Come ha raccontato al New York Times uno dei loro ufficiali, il colonnello Imad Muhammad, i Peshmerga hanno riempito il vuoto che in queste settimane è stato lasciato dall’esercito iracheno che si è sfaldato sotto l’offensiva delle milizie sunnite.
Muhammad ha dato l’intervista in un ufficio abbandonato da un ufficiale iracheno e ha spiegato che l’esercito di Baghdad «si è lasciato dietro tutto». “Tutto” comprende anche la città di Kirkuk che si trova nel nord dell’Iraq e ospita alcuni dei più importante giacimenti di petrolio del paese. Kirkuk formalmente non fa parte della regione autonoma del Kurdistan e i suoi abitanti sono per metà curdi e per l’altra metà arabi. Kirkuk è molto importante per i curdi, e non solo per il petrolio: durante il regime di Saddam circa 250 mila curdi vennero deportati dalla città e sostituiti da arabi. Nella Costituzione irachena del 2005 era previsto un referendum per lasciare scegliere ai cittadini di Kirkuk se restare con il governo centrale o entrare a far parte della regione autonoma del Kurdistan. Il referendum non venne mai messo in pratica, ma come dicono in questi giorni i Peshmerga: «Lo abbiamo attuato di fatto», occupando la città.
Quello che colpisce dei curdi in queste ultime settimane è che fino ad ora sono riusciti ad affrontare e respingere l’ISIS con successo. A quanto pare, uno dei più famosi comandanti dell’ISIS, Omar al-Shishani, un ceceno, è stato ucciso proprio da un peshmerga curdo durante una delle incursioni dell’ISIS verso il Kurdistan. Non c’è molto da stupirsi del loro successo, in realtà. L’ISIS ha dimostrato di riuscire a mettere in atto conquiste spettacolari, ma fino ad ora ha avuto successo soltanto nelle zone dove aveva la popolazione dalla parte dei sunniti. È improbabile che l’ISIS riesca a far breccia in Kurdistan, dove la popolazione è ostile e difesa dai Peshmerga, che non solo sono motivati dal fatto difendere le loro case e la loro terra, ma sono anche ben pagati grazie al denaro che la regione autonoma riceve dal governo centrale in cambio del petrolio estratto nella regione.
Il Kurdistan può diventare indipendente?
«Fino ad ora siamo stati leali nei confronti della Costituzione irachena», ha detto il colonnello Muhammed, ma la domanda che rimane è: fino a quando lo saranno? Tutti i principali politici e ufficiali curdi, al momento, ribadiscono la loro fedeltà al governo centrale di Baghdad (Jalal Talabani è curdo ed è il presidente dell’Iraq). Secondo diversi giornalisti che hanno visitato il Kurdistan in questi giorni, tuttavia, molti curdi dicono chiaramente che quello che sta accadendo in questi giorni è una possibilità unica per raggiungere l’indipendenza. Alcuni arrivano quasi a dirlo esplicitamene, come il governatore di Kirkuk, Najmaldin Karim: «Non solo Kirkuk: è l’intero Iraq che non può tornare a com’era prima. Qualsiasi cosa sia stata fatta dal 2003 ad oggi è evidente che non ha funzionato».
Già prima dell’offensiva dell’ISIS il Kurdistan cercava l’indipendenza: è un’entità che possiede un’amministrazione autonoma, delle forze armate e diversi legami con grandi società petrolifere straniere, che potrebbero contribuire a fare raggiungere al Kurdistan l’indipendenza economica (anche se la vendita diretta di petrolio è fortemente osteggiata dal governo iracheno). In realtà il petrolio appartiene al governo centrale che per il suo sfruttamento paga dei fondi al governo autonomo del Kurdistan. Ultimamente il governo curdo ha provato a vendere del petrolio direttamente, senza passare dal governo centrale. Questi tentativi di rendersi indipendenti economicamente erano la principale preoccupazione del governo iracheno e di quello degli Stati Uniti, almeno prima che l’ISIS riuscisse a controllare un terzo del paese.
Non tutti i curdi la pensano allo stesso modo sull’indipendenza. Alcuni, come Talabani, sono per non forzare la mano al governo di Baghdad e moderare le richieste di autonomia e di estensione territoriale. Altri, come ad esempio Najmaldin Karim, primo ministro del governo autonomo e leader del Partito Democratico Curdo, sono invece per aumentare notevolmente l’autonomia della regione. Gli Stati Uniti, che sono un alleato importante per i curdi, non sono favorevoli alla creazione di un Kurdistan indipendente. Il problema è che uno stato unitario e indipendente per i curdi potrebbe rappresentare una pericolosa forza di attrazione per gli altri curdi che si trovano in Turchia e Iran.
La Turchia in passato ha avuto grossi problemi con i curdi e in particolare con il PKK, il partito dei lavoratori curdi (il cui capo, Abdullah Ocalan, trascorse diversi mesi in Italia tra il 1998 e il 1999, come avevamo raccontato qui). Il PKK ha portato avanti contro il governo turco una guerriglia durata 29 anni. Nel 2013 il governo e il gruppo sono giunti a un accordo e questo ha portato a un miglioramento delle relazioni tra Turchia e curdi. I nuovi rapporti non significano che la Turchia veda di buon occhio la creazione di uno stato curdo indipendente. Lo stesso discorso vale per l’Iran, che nei suoi confini occidentali ha alcune significative minoranze di curdi. Secondo molti esperti la collaborazione dell’Iran sarà fondamentale per risolvere l’attuale crisi e questo rende ancora meno probabile la nascita di un Kurdistan indipendente.