In Cina si criticano gli Stati Uniti con “House of Cards”
Il Partito Comunista ha scritto della corruzione diffusa nella politica americana, e alimentata dalla celebre serie tv con Kevin Spacey
Lunedì 16 giugno sul sito ufficiale del Partito Comunista cinese è stato pubblicato un articolo riguardo al fenomeno della corruzione nei paesi occidentali. Nell’articolo si faceva largo uso di immagini e storie tratte da “House of Cards”, la popolare serie tv statunitense sulla storia del senatore americano Frank Underwood, interpretato da Kevin Spacey. È una storia interessante e per certi versi un po’ ridicola, che è stata ripresa anche dal New York Times e che spiega il successo notevole e trasversale di “House of Cards” in Cina: oltre all’apprezzamento del pubblico, la serie è stata seguita – pare – anche dalle autorità politiche cinesi, che l’hanno usata come una prova per dimostrare l’esistenza della corruzione e del malcostume in Occidente.
La popolarità di “House of Cards” in Cina è dimostrata anche dalla larga diffusione di magliette e accessori in vendita negli store online: secondo il New York Times, il governo starebbe cercando di sfruttare il successo della serie per far passare i suoi messaggi politici, e gli attacchi contro l’Occidente.
L’articolo, che si intitola “A partire dalla popolarità di ‘House of Cards’: una prospettiva sulla corruzione nei paesi occidentali sviluppati”, è stato scritto da Zhao Lin dell’Istituto di Vigilanza (organo legato al Ministero della Vigilanza cinese), e rientra in un più ampio piano di contrasto alla corruzione – un fenomeno molto diffuso in Cina – portato avanti dal presidente cinese Xi Jinping. In pratica la tesi di Zhao è che la corruzione sia un problema molto più radicato e grave negli Stati occidentali, e che prodotti televisivi come “House of Cards” ne siano addirittura promotori: «Non solo non sono capaci di sradicare la loro stessa corruzione, ma sono diventati gli istigatori dell’internazionalizzazione di quella corruzione», scrive Zhao.
Vista da qui, soprattutto da quelli a cui è nota la serie tv, la costruzione dell’articolo di Zhao appare piuttosto bizzarra per il modo in cui mescola fatti di cronaca e fiction. A un certo punto compare una foto tratta da una scena di un episodio di House of Cards in cui Underwood parla con Remy Danton, lobbista e suo ex responsabile della comunicazione, interpretato dall’attore Mahershala Ali. Nella didascalia della foto c’è scritto: “Le operazioni di lobbying sono una pratica comune negli Stati Uniti”. Poi, allontanandosi dalla serie tv per descrivere casi reali, Zhao cita alcuni esempi di corruzione – peraltro molto eterogenei, e del tutto slegati tra loro – che hanno coinvolto paesi occidentali: le accuse di corruzione contro l’ex presidente francese Jacques Chirac, la condanna dell’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert, la vicenda del conflitto di interesse nella società farmaceutica britannica GlaxoSmithKline.
L’obiettivo di prodotti televisivi come “House of Cards”, sostiene Zhao, sarebbe quello di conferire alla corruzione una parvenza di legittimità e normalità: in questo senso, il lobbying non sarebbe un effetto perverso del sistema statunitense ma l’espressione della “vera essenza” della politica americana, nascosta al di sotto degli ideali democratici della Costituzione. Zhao conclude sottolineando la diversità della Cina rispetto ai paesi occidentali, e sostiene che le recenti politiche intraprese dal governo cinese sono l’unica “strada giusta” per contrastare la corruzione.