Gli attacchi contro chi guarda i Mondiali
In Nigeria e Kenya decine di persone sono morte in assalti compiuti dagli estremisti islamici e ora i governi hanno vietato o sconsigliato di guardare le partite in luoghi pubblici
Venerdì 20 giugno il governo del Kenya ha invitato tutti i kenyani a guardare le partite dei Mondiali di calcio a casa, invece che «in posti affollati e non protetti». La richiesta del governo arriva pochi giorni dopo una serie di attacchi vicino alla città costiera di Mpeketoni, a 300 chilometri a sud di Mombasa, in cui sono morte più di sessanta persone. In uno di questi attacchi sono state prese di mira diverse persone che guardavano una partita dei Mondiali in hotel: secondo molti, i responsabili sono i miliziani al Shabaab, gruppo estremista somalo che negli ultimi mesi ha compiuto parecchi attacchi in Kenya (qui avevamo spiegato chi sono gli shabaab).
In passato al Shabaab ha detto che gli attacchi erano una rappresaglia per la presenza di militari del Kenya nel sud della Somalia (i militari kenyani sono presenti in Somalia dal 2011 per sostenere il governo somalo a combattere gli estremisti, e in particolare gli shabaab). Non è ancora chiaro se gli ultimi attacchi siano stati compiuti da al Shaabab o se siano invece frutto degli scontri tra le due principali etnie della zona: ad essere uccisi sono stati soprattutto i Kikuyu, che appartengono alla stessa etnia del presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, mentre gli Oromo, che a Mpeketoni sono soprattutto musulmani ed etnicamente imparentati con gli abitanti del sud della Somalia, sono stati risparmiati.
Kenyatta ha detto che gli attacchi sono stati compiuti da gruppi politici “locali”. Secondo i corrispondenti di BBC gli attacchi potrebbero essere stati fatti proprio da alcuni Oromo che poi avrebbero cercato di incolpare al-Shaabab. Kenyatta ha comunque raccomandato i proprietari di locali pubblici ad aumentare le misure di sicurezza per assicurarsi che i locali siano «protetti dai criminali che potrebbero approfittare dei mondiali di calcio per perpetrare atti violenti e criminali».
Pochi giorni fa, dall’altro lato del continente, in Nigeria, più di venti persone sono state uccise in un’esplosione che ha preso di mira un bar dove alcune persone stavano seguendo la partita tra Brasile e Messico. L’attacco – che non è stato ancora rivendicato – è avvenuto a Damaturu, nello stato di Yobe, uno dei tre che si trovano nel raggio d’azione dei terroristi islamici di Boko Haram. I leader di Boko Haram hanno più volte condannato lo sport in generale e il calcio in particolare, sostenendo che – come la musica e l’alcol – sono gli strumenti con cui l’Occidente cerca di corrompere i fedeli e distruggere l’Islam.
Secondo il giornalista nigeriano Joachim MacEbong, gli attacchi avvenuti nel suo paese sono motivati dalla decisione dei gruppi di estremisti di estendere i loro obbiettivi anche a bersagli considerati più “morbidi” rispetto ai checkpoint e alle caserme dell’esercito. Ad esempio negli ultimi mesi Boko Haram ha cominciato ad attaccare le scuole, come nel caso del famoso rapimento di quasi duecento ragazze di cui si è parlato molto nelle ultime settimane. Per questa ragione i grandi raduni di persone per assistere alle partite di calcio sono un bersaglio ideale.
Il governo della Nigeria ha già vietato la trasmissione delle partite in luoghi pubblici nei tre stati dove opera Boko Haram. MacEbong ha raccontato che il divieto è stato duro da accettare per i nigeriani, in un paese dove il calcio è quasi “una religione”. La Nigeria è un paese diviso tra diverse etnie e diverse confessioni religiose (i musulmani, principalmente a nord e i cristiani, principalmente a sud). Le partite della squadra di calcio, ha spiegato MacEbong, sono uno dei pochi eventi in cui tutto il popolo nigeriano si sente unito. La Nigeria si è qualificata ai mondiali e fino ad ora ha disputato una sola partita, quella contro l’Iran, finita zero a zero. La prossima partita sarà contro la Bosnia-Erzegovina, domenica 22 giugno.