Nuovi guai per l’Argentina?
Gli Stati Uniti hanno respinto l’appello del governo argentino contro i fondi che rifiutarono la sua ristrutturazione del debito: e ora l'Argentina rischia un nuovo default
La Corte suprema degli Stati Uniti si è rifiutata di accogliere una richiesta dell’Argentina, che era ricorsa in appello contro gli hedge funds (fondi speculativi) statunitensi: il governo argentino dovrà quindi pagare 1,33 miliardi di dollari ad alcuni possessori di titoli di stato che non accettarono la ristrutturazione successiva al default argentino del 2001. La decisione della Corte, che ha voce in capitolo perché i fondi sono basati negli Stati Uniti, ha confermato inaspettatamente le precedenti sentenze dei tribunali di grado inferiore e questo potrebbe avere serie conseguenze sull’economia e sulla finanza del paese: potrebbe costituire un importante precedente per casi simili e potrebbe portare a un nuovo default.
Come si è arrivati a questo punto
Durante la crisi economica e finanziaria del 2001, l’Argentina dichiarò default su circa cento miliardi di dollari di debito, fu cioè dichiarato che il governo non era in grado di pagare il proprio debito: gli investitori stranieri ridussero le loro attività e il flusso di capitali verso l’Argentina cessò quasi completamente. Per affrontare la crisi, il governo argentino avviò trattative con i propri creditori per arrivare alla cosiddetta ristrutturazione del debito: nel 2005 e nel 2010 emise nuovi titoli di stato “scontati” – cioè con un valore nominale molto più basso e con scadenza più lunga, trentennale – offrendoli ai creditori . Lo scambio (swap) fu accettato dal 93 per cento degli investitori, mentre altri contrari si rifiutarono. L’Argentina decise di risarcire solo i creditori che avevano accettato lo scambio tra i nuovi bond e quelli precedenti, e non quelli che avevano optato per un pagamento pieno, sostenendo che non poteva riservare a questi “fondi avvoltoio” un trattamento di preferenza. Questi creditori “ribelli” scelsero allora di ricorrere alla giustizia statunitense per riavere i loro soldi.
Diversi tribunali, e già nel 2012, stabilirono che il governo argentino non poteva effettuare i pagamenti sul debito ristrutturato senza rimborsare prima anche i fondi che avevano rifiutato l’accordo: altrimenti si sarebbe trattato di una violazione degli obblighi sull’uguale trattamento degli investitori. La Corte Suprema ha confermato ieri, lunedì 16 giugno, quelle sentenze ordinando al governo argentino di pagare 1,33 miliardi di dollari di titoli di stato (980 milioni di euro circa) posseduti dagli investitori che avevano rifiutato la proposta di scambio. Tra questi c’è anche il fondo di investimenti speculativo NML, controllato dalla Elliot Management di proprietà del miliardario statunitense Paul Singer, che non aveva aderito alla ristrutturazione del debito insieme a diversi altri hedge funds statunitensi.
Rischio default
Il rischio maggiore per l’Argentina è quello di un nuovo default come ha fatto sapere lo stesso governo che ha parlato di possibili «dure conseguenze per milioni di argentini»: il 30 giugno sono infatti in programma i pagamenti sui bond con scadenza 2033 che hanno aderito allo scambio. Teoricamente, anche se sembra piuttosto difficile, un accordo tra il governo e i fondi che hanno rifiutato lo scambio potrebbe essere raggiunto entro la fine del mese.
Secondo alcuni, la conseguenza più grave della decisione della Corte Suprema è quella di creare un precedente per casi simili, permettendo ai cosiddetti “fondi avvoltoio” di andare contro qualsiasi altro paese e mettendo dunque a rischio ogni altro processo di ristrutturazione. Per quanto riguarda l’Argentina, la decisione potrebbe aprire la strada a decine di altre cause di titolari di bond, che si calcola abbiano ancora titoli per 15 miliardi di dollari.
La decisione della Corte è arrivata nel momento in cui l’Argentina stava cercando di normalizzare le relazioni con gli investitori stranieri, con i suoi creditori e di avere nuovamente accesso ai fondi internazionali. Da quando aveva dichiarato bancarotta, il Paese non aveva infatti più accesso al mercato del debito mondiale, cioè nessuno si fidava a prestarle soldi. Superato il default, l’economia del paese era riuscita a crescere senza però raggiungere i livelli precedenti: negli ultimi tempi sono aumentate sia la spesa pubblica che l’inflazione.
Cosa ha detto Cristina Kirchner
Dopo la decisione della Corte, la presidente argentina Cristina Kirchner ha diffuso un messaggio televisivo a reti unificate: ha assicurato che l’Argentina rispetterà la prossima scadenza dei rimborsi (quella cioè dei creditori che nel 2005 e 2010 hanno aderito allo scambio) e ha escluso quindi «un default del debito già ristrutturato». Non ha però chiarito se rispetterà la sentenza statunitense e pagherà chi non ha accettato la ristrutturazione definendo l’operazione una vera e propria «estorsione». Ha poi spiegato che «la volontà del paese di negoziare è ampiamente dimostrata» dato che il 93 per cento dei creditori ha accettato lo swap. Infine, ha concluso dicendo che il governo continuerà a portare avanti «le strategie necessarie affinché chi ha avuto fiducia nel paese riceva i propri soldi» e che quella che l’Argentina si trova in questo momento ad affrontare non è tanto una questione finanziaria o giuridica, ma «un modello di business su scala globale» che rischia di causare «tragedie inimmaginabili»: «Vogliamo onorare i debiti, ma non vogliamo essere complici di questo modello».