Come si conquista una città?
Soltanto negli ultimi giorni un gruppo di guerriglieri ne ha conquistate parecchie in Iraq, sconfiggendo forze decine di volte superiori: concretamente, come funziona?
Nell’ultima settimana lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), un gruppo armato di estremisti sunniti che opera sia in Iraq che in Siria, ha iniziato una violenta offensiva contro il governo iracheno e in pochi giorni è riuscito a conquistare numerose città in tutta la parte settentrionale dell’Iraq. Tra le altre, ha conquistato la seconda città più popolosa del paese, Mosul e Tikrit, la città natale di Saddam Hussein. Inoltre è l’ISIS ha conquistato diverse città più piccole, arrivando a pochi chilometri dalla capitale Baghdad.
Gli sviluppi di questi giorni hanno sorpreso l’intera comunità internazionale: non soltanto per la rapidità delle conquiste dell’ISIS, ma anche per l’apparente incapacità dell’esercito iracheno, forte di decine di migliaia di soldati e di equipaggiamenti relativamente all’avanguardia, di affrontare una forza armata che conta, secondo le ultime stime, non più di cinquemila guerriglieri. Soltanto a Mosul l’ISIS avrebbe fatto migliaia di prigionieri e sarebbe riuscita a mettere in fuga decine di migliaia di soldati. Concretamente, come?
Combattimento urbano
Nel corso della storia, combattere in un ambiente urbano – soprattutto da quando sono state inventate le armi da fuoco – è sempre stato molto difficile, in particolare per chi si trovava all’attacco. Alcune delle più cruente battaglie dell’ultimo secolo sono state combattute proprio in città. La più famosa probabilmente è la battaglia di Stalingrado, combattuta tra l’esercito della Germania nazista e l’Unione sovietica tra il 1942 e il 1943 (e che avevamo raccontato qui). Sempre nel corso della Seconda guerra mondiale, anche le battaglie di Budapest e Berlino vennero combattute tra le rovine urbane. Recentemente, anche alcune delle operazioni condotte dall’esercito israeliano contro Hamas si sono svolte con l’impiego di forze di terra nell’area altamente urbanizzata della Striscia di Gaza.
La ragione principale per cui combattere in ambienti urbani è particolarmente pericoloso è che una città, con il suo intrico di vie e palazzi, è un luogo dove i difensori possono facilmente nascondersi e trovare protezione. I veicoli più pesanti, come i carri armati, sono meno efficaci negli ambienti urbani rispetto al terreno aperto. Visto che la visibilità è limitata dagli edifici, spesso gli scontri avvengono a breve distanza e sono quindi più sanguinosi. Combattere in un luogo con un’alta densità di civili, inoltre, è complicato se uno dei due esercito ha qualche scrupolo nel coinvolgere la popolazione. Tutti questi fattori hanno spesso trasformato i combattimenti in città in battaglie lunghe e cruente.
In passato questo scrupolo non era tenuto in gran conto. Stalingrado, Berlino e Budapest vennero tutte pesantemente bombardate prima dell’attacco – spesso con risultati opposti a quelli sperati, visto che un intrico di rovine disordinate offre ripari e nascondigli migliori di una città ancora intera, mentre macerie e strade distrutte possono costituire un ostacolo difficile da superare per una forza attaccante. Negli ultimi anni anche in Siria, dove molti scontri avvengono in grandi città come Aleppo e Homs, l’esercito regolare ha spesso bombardato interi quartieri, almeno una volta anche con armi chimiche (senza però accorciare più di tanto la durate dei combattimenti).
Cosa è accaduto in Iraq
Detto questo, quello che è accaduto in questi giorni in Iraq sembra particolarmente strano: l’ISIS è riuscita a conquistare velocemente diverse città, utilizzando forze ridotte e combattendo contro un esercito molto più numeroso. La vittoria più straordinaria ottenuta dall’ISIS è stata la conquista di Mosul, la seconda città più popolosa del paese. Secondo il Guardian e numerosi altri commentatori, la città era presidiata da due divisioni dell’esercito iracheno, cioè circa 30 mila soldati, affiancati da alcune migliaia di poliziotti. Gli iracheni erano equipaggiati di mezzi moderni e all’avanguardia, come i carriarmati Abrams di fabbricazione americana. Le forze dell’ISIS, a quanto sembra, erano costituite da circa 800 guerriglieri. Come è stato possibile che una forza così massiccia sia stata sconfitta da un gruppo armato così ridotto?
Come hanno scritto diversi analisti in questi giorni (noi ne avevamo parlato qui), il problema principale sembra essere che l’ISIS sta riuscendo a sfruttare con abilità le divisioni all’interno del paese, causate dalle politiche del governo del primo ministro Nuri Al-Maliki. Secondo diversi commentatori, Maliki ha favorito la maggioranza sciita del paese e ha perso l’appoggio della gran parte della popolazione sunnita. Questa divisione avrebbe pesantemente influenzato gli avvenimenti di Mosul.
Secondo le prime ricostruzioni, a Mosul le cose si sarebbero svolte più o meno così: la città si trova nella parte settentrionale del paese, dove la maggioranza della popolazione è sunnita. Mosul, inoltre, è molto lontana da Baghdad e dalle zone a maggioranza sciita. Da mesi il territorio intorno alla città viene attraversato dai guerriglieri dell’ISIS, che possono agire in maniera più o meno indisturbata. La città, però, come abbiamo visto, era presidiata da moltissimi soldati e circondata da una serie di checkpoint. Negli ultimi mesi queste postazioni sono state continuamente attaccate da attentatori suicidi e da gruppi di guerriglieri. Questi attacchi non causano perdite sostanziali ma probabilmente hanno portato un notevole nervosismo tra i soldati iracheni. In alcuni di questi attacchi, inoltre, anche i veicoli più pesanti dell’esercito iracheno sono stati distrutti, grazie – a quanto pare – ai moderni missili anticarro che l’ISIS è riuscita a catturare all’esercito siriano. A questo punto è importante specificare che molti dei soldati e dei poliziotti a Mosul erano sunniti (come i miliziani dell’ISIS), mentre i loro comandanti erano quasi tutti sciiti (a causa delle politiche del governo, quasi tutti i vertici delle forze armate sono in mano agli sciiti).
Il 6 giugno l’offensiva dell’ISIS si è improvvisamente intensificata. Alcuni checkpoint sono stati attaccati da numerosi guerriglieri e da attentatori suicidi. Questi attacchi, sempre ridotti come dimensioni (come abbiamo visto, l’ISIS non ha schierato più di alcune centinaia, forse poco più di un migliaio, di miliziani), hanno spesso avuto successo grazie all’impreparazione dei soldati iracheni. In un attacco a un posto di blocco pesantemente fortificato, il 7 giugno, ad esempio, i miliziani sono riusciti a distruggere un carro armato gettando un granata nel portello che i soldati iracheni avevano tenuto aperto, forse per il caldo.
Sfruttando queste tattiche, alcuni miliziani sono riusciti a infiltrarsi all’interno della città. A questo punto le perdite in combattimento erano ancora piuttosto leggere: alcune decine di morti per ognuna delle due parti. Il 9 giugno, però, alcuni importanti leader sunniti della città hanno iniziato a organizzare milizie volontarie per attaccare l’esercito dall’interno. I generali iracheni hanno tentato di parlamentare con i capitribù anziani, ma i colloqui sono falliti. Davanti alla prospettiva di dover combattere sia all’esterno che all’interno della città, senza possibilità di ricevere rinforzi (come abbiamo detto, Mosul si trova molto lontano dai centri di potere ancora in mano al governo), alcuni generali sono fuggiti, lasciando le truppe senza una guida. La notte del 9 giugno le due divisioni irachene semplicemente hanno abbandonato armi, uniformi e sono fuggite dalla città. Migliaia di soldati sono stati fatti prigionieri e sono stati fatti marciare fuori dalla città.
Conflitto etnico
In altre parole, la conquista di Mosul sembra essere stata in gran parte favorita da due fattori: soldati sunniti che non hanno voglia di farsi uccidere per un governo sciita e una popolazione che preferisce l’ISIS al governo di Baghdad. Diversi soldati iracheni, intervistati dopo aver disertato, hanno confermato queste tesi, sostenendo di essersi sentiti abbandonati dai generali e dal governo sciita. Nonostante centinaia di migliaia di persone abbiano abbandonato Mosul dopo la conquista, molti hanno dichiarato che lo hanno fatto non tanto per paura dell’ISIS (anche se i miliziani hanno subito annunciato la pena di morte per tutti coloro sorpresi a fumare, bere alcol o ad avere tatuaggi). Molti dei profughi, di religione sunnita, hanno raccontato che preferiscono l’ISIS a quello che chiamano “l’esercito di Maliki”, e che sono fuggiti per paura degli attacchi aerei americani.
Insomma: come hanno sottolineato molti commentatori, quello che sta accadendo in Iraq appare più un conflitto tra i due principali gruppi religiosi del paese, piuttosto che un’insurrezione condotta soltanto da un gruppo di fanatici estremisti. La conquista di Mosul sembra confermare questa lettura della situazione. Così come sembra farlo anche un altro scontro, che si è concluso in maniera molto diversa.
Il 5 giugno, un giorno prima dell’attacco a Mosul, l’ISIS ha attaccato la città di Samarra, pochi chilometri a nord di Baghdad. Come Mosul, anche Samarra è una città a maggioranza sunnita, ma si trova molto più vicina alle aree a maggioranza sciita e contiene la moschea di Al-Askari, uno dei luoghi più sacri per gli sciiti iracheni. Sfruttando le stesse tattiche utilizzate a Mosul, i miliziani dell’ISIS sono riusciti a entrare in città e occupare diversi edifici. La popolazione, però, non si è rivoltata e il governo ha inviato rapidamente ulteriori soldati. Un gruppo di circa settanta soldati delle forze irachene ha difeso la moschea fino a che da Baghdad non sono arrivati i rinforzi, tra cui diversi elicotteri che hanno distrutto i rinforzi dell’ISIS che si stavano avvicinando alla città. Samarra è stata riconquistata e, secondo il governo, 12 membri delle forze di sicurezze e 80 miliziani dell’ISIS sono stati uccisi negli scontri. Uno dei video dello scontro è stato trasmesso dalla televisione nazionale irachena per propaganda – ironicamente, proprio mentre Mosul stava per essere conquistata.