Annullare un matrimonio perché un coniuge ha cambiato sesso è incostituzionale
Lo ha deciso la Corte Costituzionale riguardo una coppia di Bologna e la legge del 1982 che prevede il "divorzio imposto"
Mercoledì 11 giugno la Corte Costituzionale ha dichiarato che la norma che prevede l’annullamento del matrimonio nel caso in cui uno dei due coniugi cambi sesso è incostituzionale. La questione era stata posta nel 2009 da una coppia di Bologna il cui matrimonio, celebrato nel 2005, era stato annullato dopo che lui aveva deciso di diventare donna.
La legge dichiarata incostituzionale è la n. 164 del 1982 e contiene norme in materia di “rettificazione di attribuzione di sesso”: è la legge che consente il cambio anagrafico dei documenti successivamente agli interventi chirurgici che comportano il cambio di genere e che stabilisce anche, all’articolo 4, il cosiddetto “divorzio imposto”:
La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo. Essa provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso.
La sentenza della Corte sull’incostituzionalità della norma si basa sul fatto che una volta sciolto il matrimonio in conseguenza del cambiamento di sesso, non è prevista dalla legge nessuna unione alternativa giuridicamente riconosciuta «che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima». La sentenza segnala dunque un vuoto normativo tra «l’interesse dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio (e a non consentirne, quindi, la prosecuzione, una volta venuto meno il requisito essenziale della diversità di sesso dei coniugi)» e l’interesse e la volontà della coppia: «L’esercizio della libertà di scelta compiuta dall’un coniuge con il consenso dell’altro, relativamente ad un tal significativo aspetto della identità personale», si legge, non deve insomma essere «eccessivamente penalizzato con il sacrificio integrale della dimensione giuridica del preesistente rapporto». E si invita pertanto il legislatore ad introdurre «con la massima sollecitudine» una «forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione di assoluta indeterminatezza».
Nei fatti il matrimonio della coppia di Bologna resterà nullo, pur avendo la sentenza un grande valore simbolico. Scrive la Stampa:
Ora il caso tornerà in Cassazione. Da qui, infatti, erano partiti gli atti in direzione della Consulta, perché la Cassazione – a cui la coppia era approdata dopo un iter che l’aveva vista vincente in tribunale e sconfitta in appello – ha dubitato della legittimità della norma e l’ha per così dire «impugnata» di fronte alla Corte Costituzionale. «La Cassazione dovrà chiudere il procedimento», spiega l’avvocato Giovanni Genova, che nell’udienza in Corte Costituzionale aveva chiesto di costituirsi a nome dell’Avvocatura per i diritti LGBT, che tutela i diritti di lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali, non è stato ammesso. «Allo stato attuale, però – spiega il legale -, la Suprema Corte non ha uno strumento giuridico per farlo, perché le unioni civili non sono previste dall’ordinamento italiano».