La clamorosa sconfitta di Eric Cantor
Uno dei repubblicani statunitensi più potenti – considerato il futuro presidente della Camera – è stato sconfitto alle primarie da uno sconosciuto professore dei Tea Party
Il capo dei repubblicani statunitensi alla Camera, Eric Cantor, uno dei più importanti e influenti personaggi della politica americana, è stato sconfitto da un candidato semi-sconosciuto alle primarie in vista delle prossime elezioni legislative. In quanto numero due dei repubblicani al Congresso, Cantor era considerato il più probabile successore di John Boehner alla presidenza della Camera; alla luce del risultato di ieri – definito clamoroso praticamente da tutta la stampa americana – non riuscirà nemmeno a ricandidarsi alla Camera con il suo partito.
La notizia è ovunque sulle homepage statunitensi, con grande rilevanza:
Negli Stati Uniti la legge – che varia nei dettagli stato per stato – prevede che i partiti decidano i loro candidati alle elezioni parlamentari di novembre con le primarie di collegio. Nel collegio 07 della Virginia le primarie repubblicane non sembravano particolarmente interessanti: Eric Cantor – 51 anni, sette mandati consecutivi alla Camera (ogni mandato dura due anni), un gruppo foltissimo e ricchissimo di finanziatori – era considerato il vincitore sicuro e i sondaggi gli davano un vantaggio di oltre 30 punti percentuali sul suo avversario. L’unica cosa in discussione era il distacco finale.
Il candidato che invece ha battuto Cantor – con il 55,5 per cento dei voti – si chiama David Brat, è un docente universitario senza nessuna esperienza politica e praticamente senza soldi, ma soprattutto è un esponente locale dei Tea Party, la corrente estremista e anti-Stato dei repubblicani; insomma, per quanto Cantor sia considerato al Congresso uno dei repubblicani più rigidi nei confronti dei democratici (“l’uomo del no a tutto”), è stato affrontato e sconfitto da un candidato che pensa non sia stato abbastanza rigido e conservatore. Brat ha criticato Cantor soprattutto sull’immigrazione e secondo molti la sconfitta di Cantor avrà conseguenze tali tra i repubblicani da rendere impossibile proprio l’approvazione dell’attesa riforma sull’immigrazione.
La vicenda è interessante, perché Eric Cantor è tra i repubblicani che più hanno ostacolato – e non favorito – le trattative per arrivare a un accordo sull’immigrazione. Cantor non ha sostenuto gli sforzi della cosiddetta “gang of eight”, “la banda degli otto”, il gruppo di otto senatori – quattro democratici e quattro repubblicani – che da mesi lavora per creare consenso a destra e a sinistra per approvare una riforma dell’immigrazione.
La riforma in questione – che è stata già approvata dal Senato, dove i democratici hanno la maggioranza, ma non alla Camera dove comandano i repubblicani – prevede due cose fondamentali, una che piace alla destra e una che piace alla sinistra. Quella che piace alla destra è il rafforzamento militare del confine tra Stati Uniti e Messico; quella che piace alla sinistra è una specie di sanatoria: gli 11 milioni di immigrati irregolari negli Stati Uniti potranno ottenere la cittadinanza attraverso un processo graduale. È una norma che sta molto a cuore agli statunitensi di origini latinoamericane, che molto spesso hanno parenti o amici privi di documenti. Nonostante Cantor fosse contrario alla riforma, Brat lo ha accusato insistentemente di voler approvare un’amnistia indiscriminata nei confronti degli immigrati irregolari e i suoi argomenti hanno pagato, in uno dei collegi elettorali più repubblicani degli Stati Uniti.
Per dire dell’aria che tirava: soltanto il 9 giugno il Wall Street Journal scriveva che David Brat era “praticamente certo di perdere” e – dando conto dell’accorata difesa di Cantor dall’accusa di voler approvare una sanatoria per gli immigrati – aggiungeva: “[la difesa di Cantor] ha irritato i sostenitori della riforma dell’immigrazione, che pensano stia reagendo eccessivamente alle provocazioni di un candidato che ha scarse probabilità di vittoria”.
Nelle elezioni di metà mandato del prossimo novembre, durante le quali si rinnoverà la totalità dei seggi della Camera e un terzo di quelli del Senato, David Brat sfiderà il demcoratico Jack Trammell, curiosamente anche lui docente universitario nel suo stesso ateneo. Nessuno al momento considera aperta la partita, ma non è detto che lo diventi: la storia degli ultimi sei anni mostra che i candidati repubblicani più estremisti hanno – rispetto ai più moderati – maggiori possibilità di vincere le primarie di partito ma minori di ottenere il seggio a novembre, e nel recente passato è già successo che i democratici raggiungessero vittorie insperate a causa di candidati repubblicani rifiutati dalla maggioranza dell’opinione pubblica.
foto: Drew Angerer/Getty Images