La banalità del male televisivo
Nel dibattito su Gomorra, Michele Serra si chiede se l'affollamento di violenza e "canaglierie assortite" non stia diventando semplicemente di maniera
Nel dibattito sulla totale assenza del “bene” nella fiction televisiva tratta dal libro di Roberto Saviano Gomorra (che si è chiusa ieri con grande successo ed estesi apprezzamenti su Sky Atlantic), oggi interviene Michele Serra nella sua rubrica sui quotidiano Repubblica. Rispondendo a un articolo di ieri dello stesso Saviano, Serra si chiede se il problema non sia – piuttosto che la mancanza di realismo della scelta – che troppa esibizione di “male” e violenza e spietatezza non rischi di diventare noiosa e prevedibile, offerta a un pubblico che la chiede, al pari simmetrico dei vecchi “lieto fine”.
Interessante e utile il dibattito sulla serie tivù Gomorra, accusata di essere truce a prescindere e di non disporre di “buoni” nei quali identificarsi. Roberto Saviano ha buon gioco a mettere in guardia contro l’eterna tentazione (politica) di “lavare i panni sporchi in famiglia”, e contro il tono edificante, che con le migliori intenzioni crea sempre cattiva letteratura. Ha ragione: raccontare il male è parte decisiva della lucidità (politica e artistica) di una comunità; sono nella memoria di tutti, del resto, le patetiche sortite berlusconiane contro “le fiction sulla mafia che mettono in cattiva luce l’Italia”.
(continua a leggere sulla rassegna stampa del blog Triskel182)