Il calo nelle vendite di Prada
Perché i risultati dell'ultimo trimestre sono stati deludenti per uno dei brand italiani di maggior successo mondiale (c'entrano nuovi comportamenti dei turisti cinesi)
La nota casa di moda italiana Prada ha diffuso pochi giorni fa i dati relativi ai propri conti nel periodo compreso fra febbraio e aprile del 2014. Il guadagno netto della società è stato di 105,3 milioni di euro, molto inferiore a quello previsto dagli analisti, che lo avevano stimato a 129,7 milioni di euro. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, è calato dello 0,6 per cento il ricavato complessivo delle vendite, sceso da 782,3 a 777,7 milioni di euro. In particolare, il guadagno netto sui prodotti Prada è sceso in Europa del 4,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013 (in Italia è sceso del 4,4 per cento).
Molti osservatori ne hanno dedotto che Prada possa avere un problema con il mercato europeo: la società ha dato fondamentalmente la colpa al minor numero di turisti provenienti dall’Asia – che da anni costituiscono una buona parte della clientela dei negozi europei – e alla generica poca fiducia dei consumatori europei. Ma la vicenda che ha portato a tutto questo è iniziata circa dieci anni fa, quando la situazione era molto diversa.
Cos’è Prada
Il primo negozio della società fu aperto nel 1913 dallo stilista milanese Mario Prada, nella galleria Vittorio Emanuele, nel centro di Milano: vendeva accessori di lusso, perlopiù oggetti in pelle. Sei anni dopo, nel 1919, Prada divenne uno dei fornitori ufficiali dei Savoia, la famiglia reale italiana. Nel 1958 Mario Prada morì: la società passò a sua figlia Luisa e vent’anni dopo a sua nipote Miuccia Prada. Ancora oggi Miuccia Prada – che è nata nel 1948 e ha un dottorato in scienze politiche – è presidente della società e capo stilista: l’amministratore delegato è invece Patrizio Bertelli, suo marito.
Negli anni, sebbene continuasse a rappresentare un marchio molto famoso per quanto riguarda gli accessori, Prada ha anche prodotto abiti, scarpe, orologi e cellulari. Nel 1993 presentò la sua prima collezione di abiti da uomo, mentre un anno prima aveva lanciato il marchio femminile Miu Miu, curato anch’esso da Miuccia Prada. Oggi Prada è uno dei più riconoscibili marchi italiani di abbigliamento di lusso, nonché una grossa casa di abbigliamento: negli anni ha acquistato diversi altri marchi come Church’s, una società inglese che produce scarpe. La stessa Miuccia Prada è un personaggio molto noto e rispettato: nel 2008 fu la prima stilista ad apparire sulla copertina del New York Times Magazine. Attualmente i marchi del gruppo Prada possiedono 551 negozi in 70 paesi. La società è quotata in borsa dal 2009.
Un buon periodo
A partire dalla metà degli anni Duemila, molti marchi di abbigliamento del lusso – fra cui Prada – beneficiarono di una notevole espansione del mercato asiatico, che da allora ha assunto un’importanza enorme. La cosa ha chiaramente a che fare con la notevole crescita economica della Cina, avvenuta relativamente in poco tempo: nel 1981 in Cina l’84 per cento delle persone viveva con meno di un dollaro al giorno, mentre nel 2010 solo il 10 per cento della popolazione guadagna meno di 1,25 dollari al giorno. Ci sono molti più ricchi ma anche molti meno poveri: la classe media si sta espandendo sempre più ed è stato calcolato che in Cina ci sono oggi circa 2,8 milioni di persone definibili «milionarie», che sono inoltre piuttosto giovani – la loro età media nel 2011 era di 39 anni – e appassionate di costumi occidentali.
Fra il 2010 e il 2012 moltissimi marchi videro aumentare le vendite dei propri prodotti in Asia e soprattutto in Cina: nel 2011 l’Economist pubblicò un report secondo cui il mercato dell’abbigliamento di lusso in Cina era cresciuto dell’11 per cento all’anno, e che sarebbe arrivato a rappresentare nel 2020 un quinto del mercato complessivo (nel 2010 rappresentava meno del 3 per cento). Nell’ultimo trimestre del 2010 Hermès, un marchio francese di accessori di lusso, vide aumentare le proprie vendite in Asia del 45 per cento rispetto all’anno prima. Richemont, la società di gioielleria, nello stesso periodo aumentò le proprie vendite del 57 per cento. In quell’anno Prada aprì 18 negozi in Asia.
L’espansione del mercato asiatico diede grandi risultati anche sui bilanci complessivi delle società. Nel 2011 il guadagno netto annuale di Prada passò da 250 a 431,9 milioni di euro, aumentando cioè del 72 per cento. Questo si deve anche al fatto che quasi due terzi dei cinesi che comprano oggetti di lusso lo fanno all’estero, e quindi soprattutto in Europa: l’Economist spiega che oggi in Cina, «in una società ancora molto legata ai segnali esterni che indicano lo status sociale, i prodotti di un marchio noto e i frequenti viaggi all’estero restano una cosa desiderabile per molte persone». C’entra anche il fatto che in Cina è pratica comune comprare molti regali e souvenir per i propri conoscenti, resi speciali dal fatto che sono stati acquistati in Europa. È stato stimato che un turista cinese in visita nel Regno Unito spende in media 1700 sterline (circa 2.100 euro), tre volte tanto la media degli altri visitatori. I turisti cinesi sono incoraggiati a comprare prodotti di lusso all’estero anche perché in Cina, per via di alcune tasse sull’importazione e il consumo, arrivano a costare fino al 50 per cento in più: per esempio una borsa del marchio francese Louis Vuitton acquistata a Pechino costa il 30 per cento in più di una uguale comprata a Parigi.
I problemi, ora
Come spiega l’Economist, anche il gusto dei ricchi cinesi si sta lentamente spostando: secondo Claudia D’Aripizio, che fa parte di uno studio di consulenza del settore, i cinesi stanno diventando molto più selettivi. Un altro esperto sentito da Reuters ha spiegato che «molti clienti del lusso si stanno spostando dalla gioielleria appariscente come quella di Gucci e Louis Vuitton verso cose più sofisticate, senza il logo gigante sopra». Il Financial Times spiega che «una ricerca di prodotti più personalizzati» ha penalizzato tanto Prada quanto, appunto, Gucci e Louis Vuitton, che in Cina hanno raggiunto «la saturazione del mercato». Ci si è messa poi anche una nuova legge contro la corruzione approvata dal governo cinese: prima oggetti e accessori di lusso venivano spesso usati per corrompere dirigenti del governo, mentre oggi la pratica è stata resa molto più difficile e rintracciabile.
Secondo diversi analisti i marchi di lusso dovranno riuscire ad attrezzarsi per non subire ulteriori cali del settore: Prada, in particolare, sta cercando di aprire più negozi possibili con il proprio marchio – evitando quindi di cedere i propri vestiti ai rivenditori – e facilitare l’acquisto online dei propri prodotti. Ferragamo, un altro marchio di moda italiano, sta provando a espandersi negli aeroporti. Balenciaga e Yves Saint Laurent hanno assunto stilisti molto giovani.
Detto questo, sempre secondo l’Economist, il mercato dell’abbigliamento e degli accessori di lusso «non è destinato a restringersi, anzi. Il numero dei consumatori di lusso è più che triplicato in vent’anni, arrivando a circa 330 milioni di persone. Le spese totali sono aumentate con valori simili, fino ad arrivare a circa 217 miliardi di euro nel 2013». E ci sono mercati che ancora non sono stati saturati: come il Giappone, dove Prada ha aumentato le proprie vendite del 17 per cento rispetto al 2013.
foto: Feng Li/Getty Images