Negli Stati Uniti aumentano i casi di morbillo
Nei primi mesi del 2014 ci sono stati 288 casi, il numero più alto da vent'anni: la colpa è di chi decide di non vaccinare sé e i propri figli
Nei giorni scorsi i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti, che studiano e controllano la diffusione di malattie epidemiche per conto del governo, hanno pubblicato un comunicato sulla recente diffusione del morbillo nel territorio statunitense. Il morbillo è una malattia infettiva del sistema respiratorio. Secondo i CDC nei primi cinque mesi del 2014 si sono registrati 288 casi: è il numero più alto nei primi cinque mesi dell’anno da vent’anni a questa parte, e il più alto in assoluto da quindici anni a questa parte (nel 2013 i casi rilevati durante tutto l’anno erano stati meno di 200).
(fonte: Centers for Disease Control and Prevention)
Il CDC ha spiegato che la quasi totalità dei casi è legata a viaggi all’estero di persone residenti negli Stati Uniti non vaccinate, che hanno contratto e importato la malattia all’interno del paese. La dottoressa Anne Schuchat, chirurgo e direttore del centro per le vaccinazioni e le malattie respiratorie del CDC, ha aggiunto che molti casi si sono verificati in seguito a viaggi nelle Filippine, dove un’epidemia di morbillo è in corso dall’ottobre 2013. Il numero più alto dei casi si è verificato in Ohio, nel quale due membri di una comunità amish hanno contratto il virus nelle Filippine durante un viaggio a fini umanitari e al ritorno l’hanno diffuso nella propria area (dall’inizio dell’anno sono stati registrati 164 casi di morbillo nel solo Ohio).
Il morbillo è causato da un virus ed è altamente contagioso: è stato stimato che lo contragga il 90 per cento delle persone non vaccinate che si trovano a stretto contatto con una persona infetta. Si trasmette per via aerea e chi lo contrae diventa contagioso circa tre giorni prima dei sintomi e fino a una settimana dopo la comparsa delle pustole rosse su buona parte del corpo (esantema). I neonati e i bambini sono considerati a maggiore rischio di contagio rispetto agli adulti. La malattia, oltre allo sfogo cutaneo, causa tosse, raffreddore e febbre alta, che di solito raggiunge picchi intorno ai 40 °C. Il morbillo può essere la causa di molte complicazioni, dalla polmonite alla encefalite (una pericolosa infezione che interessa il cervello e il resto del sistema nervoso centrale contenuto nella scatola cranica) passando per otiti di media entità. Nel 2012, secondo l’OMS, ci sono state 122mila morti riconducibili al morbillo.
Negli Stati Uniti – come in Italia, dove si effettua tramite la cosiddetta vaccinazione trivalente – la vaccinazione per prevenire il morbillo è facoltativa: era stata introdotta nel 1963 e nel 2000 la malattia era stata dichiarata assente dal territorio nazionale. Negli ultimi anni però, complice un notevole aumento dello scetticismo verso la ricerca scientifica e l’industria farmaceutica, sempre più americani scelgono di non vaccinare se stessi o i propri figli: l’85 per cento delle persone non vaccinate, scrive ancora il CDC, lo ha fatto a causa di motivi «religiosi, filosofici o personali». È noto il caso dell’allora medico inglese Andrew Wakefield, che nel 1993 pubblicò sulla rivista scientifica The Lancet uno studio in cui si dava conto di dodici bambini che avrebbero sviluppato marcati disturbi del comportamento in seguito alla somministrazione del vaccino MPR. Negli anni seguenti tutte le più importanti organizzazioni sanitarie del mondo smentirono lo studio di Wakefield, che era una truffa, e dimostrarono con dati concreti e su larga scala l’assenza di un legame diretto tra vaccino MPR e autismo. Nel frattempo, però, lo studio aveva avuto un notevole risalto mediatico e causato agitazioni e proteste anti vaccini in molti paesi, fra cui il Giappone. A seguito delle proteste contro il vaccino, infatti, venne reso facoltativo nel 1994; da allora il Giappone è l’unico paese economicamente sviluppato in cui si verificano ricorrenti epidemie di morbillo.
(Le Iene da stamina ai vaccini)
Di recente un apprezzato editoriale del Washington Post, il giornalista Michael Gerson aveva spiegato che nonostante gli Stati Uniti abbiano «una percentuale di immunizzazione tra l’80 e il 90 per cento» riguardo le più note malattie infettive, in alcune zone «la media è più bassa, cosa che rende più probabile che una persona infetta possa causare un’epidemia» (il Wall Street Journal ha scritto che in diverse contee il numero dei bambini i cui genitori rifiutano le vaccinazioni arriva al 20 per cento). Dato che alcune persone non possono vaccinarsi, per particolari condizioni mediche, per evitare il contagio dipendono dal fatto che siano immuni tutti gli altri. Un livello di immunizzazione superiore al 90 per cento di solito protegge tutti, ma se una parte anche minoritaria di persone rifiuta la vaccinazione, i rischi aumentano per tutti: a quel punto chi non può vaccinarsi ha maggiori probabilità di contrarre il virus e farlo circolare ulteriormente.
foto: ALFREDO ESTRELLA/AFP/Getty Images