Il governo egiziano e i social network
Da mesi crescono i processi e le condanne basati su commenti e "mi piace" espressi online: ora il governo sta preparando una legislazione ancora più severa
Secondo il quotidiano egiziano al-Shorouk, il governo dell’Egitto – alla cui presidenza è stato appena eletto l’ex capo delle forze armate Abdel Fattah al-Sisi – sta preparando una nuova legislazione “anti-terrorismo” per intensificare i controlli sui social network e reperire informazioni sui e dai siti Internet che promuovono «idee o opinioni favorevoli all’uso della forza e della violenza».
Dei particolari del progetto di legge non si sa ancora molto: l’agenzia di stampa Associated Press scrive che è promosso dal ministero della Giustizia e che prevede condanne a non meno di cinque anni di detenzione per le persone che creano questi siti. Buzzfeed aggiunge qualche particolare: riporta le dichiarazioni del ministro dell’Interno, Hani Abdellatif, che parla di un maggior controllo di Facebook e Twitter «come parte di un nuovo sforzo da parte del governo per monitorare ciò che accade online». Buzzfeed cita anche il quotidiano egiziano Al Watan, che domenica 1 giugno ha pubblicato una bozza del nuovo regolamento sul monitoraggio in cui si afferma che Twitter e Facebook sono sempre più utilizzati per promuovere attività illegali: «Si raccontano i fatti in modo ingannevole, si fanno accuse contro personaggi pubblici, si incita alle proteste, alla violenza e alla pornografia». Sarebbe dunque allo studio un nuovo sistema per monitorare siti di notizie, social network e blog e identificare argomenti e parole considerati sospetti: lo scorso 19 maggio, il ministero degli Interni egiziano ha anche annunciato un’asta per aziende che possano fornire al governo un nuovo database per raccogliere e conservare i dati online.
I critici della nuova campagna di monitoraggio sostengono che con il pretesto di prevenire attacchi terroristici attraverso il controllo di chi utilizza internet per mantenere vive le proteste, si rischia di imporre restrizioni molto pesanti alla libertà di espressione di tutti e tutte: si tratterebbe dunque di un’azione illegale che va contro la Costituzione egiziana che assicura il diritto alla libertà personale. Non si tratta comunque di una novità. L’avvocato e attivista egiziano Yasmin Hosam El Din, per esempio, ha spiegato che «stanno solo dichiarando pubblicamente quello che hanno sempre fatto in silenzio», a partire dai controlli, dalle restrizioni e dagli arresti fatti durante la cosiddetta Primavera Araba del 2011, che ha portato alla caduta del presidente Hosni Mubarak.
Da diversi mesi sono comunque in aumento i processi e le condanne basati sul reperimento di informazioni su Internet, soprattutto contro i membri dei Fratelli Musulmani: il ministro dell’Interno Abdellatif ha detto che recentemente 70 membri dell’organizzazione sono stati arrestati in base al materiale che avevano pubblicato online. Lo scorso ottobre un gruppo di studenti era stato arrestato per aver messo “Mi piace” e aver lasciato dei commenti su una pagina Facebook che promuoveva l’ateismo. Lo scorso gennaio le autorità egiziane avevano arrestato 11 membri dei Fratelli Musulmani, accusati di aver pubblicato una pagina sempre su Facebook che – secondo quanto dichiarato dal ministro dell’Interno – «incitava alla violenza, prendeva di mira i cittadini e rappresentava una minaccia».
Il ministro ha detto che tra i detenuti c’è un insegnante della città di Damanhour, nel Delta del Nilo, che è accusato di aver postato sulla sua pagina Facebook «un’affermazione che incita a bruciare i veicoli della polizia». Altre due persone, un impiegato del governo e suo figlio, sono stati arrestati per aver pubblicato una pagina intitolata “I rivoluzionari di Beni Suef”, provincia del sud, e in cui è stata pubblicata una foto con tre ufficiali delle Forze armate e i loro figli e con la didascalia «Dico a tutti i cani di al-Sisi, ovunque siano, che sono sotto al microscopio». Altre sei persone sono state arrestate per aver pubblicato una pagina Facebook intitolata “Il fantasma di Damanhour” che critica le Forze armate e il governo, e chiede la liberazione dei detenuti politici. Altre persone, infine, sono state arrestate perché in qualche modo collegate a un sito Internet intitolato “Gli Hooligans della Brigata contro il Colpo di Stato” pubblicato nell’ottobre del 2013, che include immagini di poliziotti accusati di aver ucciso alcuni dimostranti e avverte: «La vendetta sta arrivando», con avvertimenti e immagini di giovani che lanciano bombe incendiarie.
Va ricordato che lo scorso 29 dicembre al Cairo sono stati arrestati quattro giornalisti di Al Jazeera, con l’accusa di aver diffuso «notizie false» e di essere una «minaccia per la sicurezza nazionale». I giornalisti sono detenuti da allora, tra le molte proteste del network – di proprietà dei regnanti del Qatar, accusato di essere vicino ai Fratelli Musulmani – e della stampa internazionale. Dopo il loro rinvio a giudizio Jen Psaki, portavoce del dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ha detto di essere «profondamente preoccupato» per la mancanza di libertà in Egitto e per «il disprezzo eclatante dei diritti umani di base e della libertà». Badr Abdelattie, portavoce del ministro degli Esteri egiziano, ha rifiutato le critiche insistendo che il sistema giudiziario egiziano assicura processi imparziali.