Chi governerà in Europa?
In questi giorni si discute su chi sarà il presidente della Commissione Europea, nessuno ha la maggioranza, bisogna fare una grossa coalizione (e da che parte sta l'Italia?)
Domenica scorsa chi ha votato per le elezioni europee non ha soltanto contribuito a eleggere alcuni europarlamentari. Quasi tutti i principali partiti italiani, infatti, appoggiavano anche dei partiti europei che a loro volta appoggiavano dei candidati alla presidenza della Commissione Europea (che, brutalmente, potremmo definire il “governo” dell’Unione).
È la prima volta che succede ed è la prima volta in cui è il Parlamento Europeo a decidere chi sarà il presidente della Commissione (in passato era deciso dal Consiglio dell’Unione Europea, formato dai ministri e dai capi di governo dei paesi dell’Unione: Francesco Marinelli aveva spiegato tutta la faccenda sul suo blog). Il punto è che nessuno dei grandi partiti europei – socialisti e popolari – ha ottenuto da solo i numeri per poter eleggere un presidente. Quindi ora si pone una grande domanda: chi sarà il prossimo presidente della Commissione?
A che serve la Commissione?
Prima di tutto è importante chiarirsi le idee su cos’è la Commissione Europea e a cosa serve. Si tratta di uno dei principali organi dell’Unione Europea, previsto dai trattati fondamentali. La Commissione europea è in sostanza l’organo esecutivo dell’UE, rappresenta gli interessi dell’Europa nel suo insieme e propone al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione Europea la legislazione da adottare. Inoltre svolge anche attività di vigilanza sulla corretta applicazione del diritto dell’UE da parte dei paesi membri. Il presidente della Commissione, quindi, è un ruolo piuttosto importante nel bilanciamento dei poteri dell’Unione. Lo sarà ancora di più da ora in poi, visto che per la prima volta il presidente godrà di una sorta di “investitura” popolare, che gli deriva dal voto dei cittadini.
Su tredici partiti politici europei – a cui aderiscono i vari partiti nazionali – sono stati cinque quelli che hanno nominato un candidato alla presidenza della Commissione Europea: il Partito Popolare Europeo ha scelto Jean-Claude Juncker, ex primo ministro del Lussemburgo ed ex presidente dell’Eurogruppo; il Partito Socialista Europeo ha candidato Martin Schulz, attuale presidente del Parlamento europeo; i Liberali e i Democratici hanno candidato Guy Verhofstadt, ex primo ministro del Belgio e attuale leader del gruppo dei Liberali al Parlamento europeo; i Verdi hanno indicato una coppia di deputati, il francese José Bové e la tedesca Ska Keller; la Sinistra Europea ha candidato Alexis Tsipras, leader del partito greco SYRIZA.
A che punto siamo?
I risultati delle elezioni europee hanno sbarrato la strada ad almeno quattro dei cinque candidati alla presidenza. L’unico ad avere qualche possibilità è Juncker, il candidato dei popolari, il partito di maggioranza relativa al Parlamento Europeo. Al momento i popolari hanno circa 220 seggi, che potrebbero cambiare se altre formazioni dovessero entrare nel gruppo. La sua elezione, però, non è affatto scontata.
Le elezioni europee, infatti, hanno visto una grossa crescita dei partiti euroscettici. Socialisti e popolari hanno subito entrambi un calo nel numero di seggi. Nessuno dei due partiti è in grado di avere la maggioranza da solo al parlamento. In tutto ci sono 751 seggi al Parlamento Europeo e sono necessari 376 per avere la maggioranza. Questo significa che il Partito Popolare dovrà allearsi con un’altra forza per eleggere un candidato (gli unici probabili, al momento, sembrano i socialisti europei, che hanno circa 190 seggi).
Il 27 maggio, due giorni dopo le elezioni, i leader europei si sono riuniti a Bruxelles per una cena informale. Come ha scritto BBC, i loro commenti sono stati “cauti”, segno che queste elezioni hanno messo in dubbio alcune certezze. Quasi tutti i leader hanno espresso, con toni più o meno forti, la necessità dell’Unione di riformare le proprie strutture, di intervenire su un numero minore di questioni e di concentrarsi sulle cose veramente importanti.
Ma alla cena si è parlato anche del futuro presidente della Commissione. Il primo ministro brittannico David Cameron si è schierato apertamente contro la candidatura di Juncker, sostenendo che è necessaria una “faccia nuova” e una personalità più chiaramente riformista. Secondo alcune indiscrezioni, Cameron sarebbe arrivato a ipotizzare l’uscita del Regno Unito dall’Unione nel caso di elezione di Juncker. La posizione di Cameron è sostenuta anche dai governi olandese, svedese ed ungherese. La sera della cena, anche Angela Merkel, segretaria della CDU, principale forza del Partito Popolare Europeo e quindi principale sponsor di Juncker, è sembrata andare incontro alla richiesta di Cameron, dicendo che “non necessariamente” Juncker deve diventare presidente della Commissione.
Non tutti si oppongono a Juncker, anzi. Buona parte dell’appoggio di cui gode arriva dai sostenitori del Parlamento in quanto istituzione: scegliere Juncker da un certo punto di vista rappresenta il riconoscimento dell’importanza del voto dei cittadini europei e del Parlamento. Lasciare al Consiglio dell’UE il compito di scegliere un candidato che non ha partecipato alle elezioni e farlo poi votare al Parlamento sarebbe un modo per indebolire l’autorità di quest’ultimo. Anche per questo motivo, diversi partiti iscritti ai socialisti europei appoggiano Juncker anche se è il candidato dei popolari.
Venerdì 30 maggio Merkel sembra però avere cambiato idea rispetto a quanto detto a Cameron e ha espresso il suo appoggio per l’elezione di Juncker. La scelta è stata sostenuta dal principale partito di opposizione in Germania, la SPD, che aveva candidato Schulz e che al Parlamento Europeo è la seconda forza all’interno del Partito Socialista Europeo (la prima è il PD italiano). Cosa intende fare il Partito Democratico da un lato e il governo italiano dall’altro non è ancora chiaro. Domenica primo giugno Matteo Renzi ha detto che Juncker è “un candidato” e non “il candidato”. L’attuale commissione in carica, in ogni caso, non terminerà il suo mandato prima del prossimo ottobre, quindi c’è ancora molto tempo per trattare.