Il ricalcolo delle pene per il piccolo spaccio
Lo Cassazione ha stabilito che dovranno essere riviste al ribasso per migliaia di detenuti tenendo conto della legge precedente alla Fini-Giovanardi, dichiarata incostituzionale
Le condanne definitive, anche se recidive, per piccolo spaccio di droghe leggere stabilite nel periodo in cui era in vigore la legge Fini-Giovanardi, che dal 2006 disciplinava l’uso delle sostanze stupefacenti e psicotrope in Italia e che è stata dichiarata incostituzionale lo scorso febbraio, dovranno essere ricalcolate. Lo hanno stabilito ieri, giovedì 29 maggio, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – che nell’ordinamento giuridico italiano rappresentano la sezione più autorevole della Corte Suprema – accogliendo il ricorso presentato dalla procura di Napoli contro una sentenza che aveva negato a un condannato per spaccio di piccole dosi di cannabis l’attenuante della lieve entità sull’aggravante della recidiva.
Questo significa che migliaia di detenuti (dai 3 ai 4 mila secondo l’amministrazione penitenziaria) potranno beneficiare della sentenza e chiedere che la loro pena sia rivista e cioè parificata al trattamento di chi è stato condannato prima della sentenza della Consulta sulla Fini-Giovanardi: si trovano infatti nella situazione di essere condannati a pene stabilite da una legge che di fatto non esiste più, che vietava loro la concessione delle circostanze attenuanti e che non distingueva tra droghe leggere e pesanti con il conseguente aggravio di pena anche per le ipotesi lievi.
Nell’informazione provvisoria delle Sezioni (la numero 12 del 2014) la Cassazione dice infatti che per rideterminare la pena, «il giudice dell’esecuzione, ove ritenga prevalente sulla recidiva la circostanza attenuante» dovrà prendere in considerazione il testo di legge precedente alla Fini-Giovanardi «senza tenere conto di successive modifiche di legge», cioè senza considerare nemmeno il cosiddetto decreto Lorenzin approvato alla Camera e ora in esame al Senato. Con la legge Fini-Giovanardi – che aveva abolito la distinzione tra droghe leggere e pesanti unificando le tabelle del ministero della Salute e aveva inasprito le sanzioni – la pena prevista per questi casi andava dai 6 a 20 anni mentre dopo la sentenza della Consulta si è tornati alla pena prevista dalla “Iervolino-Vassalli” che va dai 2 ai 6 anni.
Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha detto che la sentenza delle Sezioni Unite «inciderà significativamente» sul sovraffollamento delle carceri» e che «l’uscita dall’emergenza sarà probabilmente più rapida». La scarcerazione non avverrà però nell’immediato. In un sistema giudiziario già sovraccarico, la sentenza porterà infatti ad un ulteriore aumento del lavoro dei giudici ordinari che dovranno ricalcolare al ribasso la pena di migliaia di detenuti. Secondo molti quindi (tra cui i Radicali Italiani) la sentenza non risolverà il problema delle carceri se non si interverrà con un provvedimento più generalizzato: un’amnistia o un indulto. Dopo la sentenza, si potrebbero ora verificare tre diverse ipotesi spiegate da Luigi Manconi, senatore del Pd e presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, in un’intervista a Repubblica:
«Essenzialmente tre. Il cosiddetto incidente di esecuzione, in base al quale è il condannato che chiede alla procura di ricalcolare, sulla base delle nuove tabelle, la pena da scontare. Questo prevede che tutti i detenuti siano informati e che abbiano gli strumenti per poterlo richiedere. La seconda soluzione è che siano le procure di tutta Italia a riprendere in mano i fascicoli dei condannati in via definitiva e a ricalcolare, per tutti loro, la nuova entità della pena. La terza, invece, è quella di un provvedimento generale, riservato esclusivamente a tutti i condannati per spaccio di droghe cosiddette leggere. In pratica una sorta di sanatoria.
Forse quest’ultima è la via più praticabile».