Abolire la settimana
L'abitudine di dividere il tempo in periodi da sette giorni – cinque di lavoro e due di riposo – è nata per rispondere a esigenze pratiche che non esistono più
di Ben Schreckinger – Slate
Per millenni tutte le specie animali hanno vissuto seguendo i cicli dettati dalla rotazione della Terra sul suo asse, da quella della Luna intorno alla Terra e da quella della terra intorno al Sole. Ma la settimana? Da dove arriva la settimana? Il sistema di vita su un ciclo di sette giorni, con uno o due giorni riservati al riposo, è una cosa relativamente nuova. Solo negli ultimi secoli, a causa della colonizzazione di mezzo mondo da parte degli occidentali, la maggioranza degli esseri umani ha adottato il sistema della settimana.
Le ragioni che giustificano l’esistenza della settimana non sono mai state esattamente ineccepibili. E stanno diventando sempre più deboli. La maggioranza degli occidentali non osserva più lo Shabbath, il giorno di riposo, e i vantaggi di mantenere le vite di tutti più o meno coordinate sono in larga parte esauriti. Allora perché questo arbitrario ciclo del tempo continua a dettare il ritmo delle nostre vite? Non è che è arrivato il momento di abolire la settimana e trovare un modo migliore per strutturare il nostro tempo?
La ragione per dividere le attività umane tra diurne e notturne è piuttosto chiara: in un periodo di 24 ore la maggior parte dei posti sulla Terra completa un ciclo completo di luce e buio. Ha senso che gli uomini e gli altri organismi si siano evoluti regolando i loro cicli di comportamento intorno a quelle successioni di luce e calore, buio e freddo.
Molti organismi si sono anche adattati ai cambiamenti annuali portati dall’orbitare della Terra intorno al Sole. Ci sono animali che migrano, vanno in letargo o in calore seguendo uno schema annuale. Anche gli umani hanno organizzato alcuni aspetti della loro vita in base a quei cambiamenti annuali che chiamiamo stagioni.
L’influenza sull’ambiente dei cicli lunari è meno evidente ma altrettanto importante. Ha effetti sulle maree e sulla quantità di luce disponibile di notte. Mentre sappiamo che molti animali hanno adottato la loro biologia ai cicli lunari, non è chiaro se qualcosa di analogo sia successo anche agli uomini.
Ma la settimana? Nel corso della storia, le società umane hanno spesso trovato che dividere il tempo in gruppi di giorni più brevi del mese lunare fosse utile e vantaggioso. Uno dei più comuni usi di questi cicli è stato fissare un giorno fisso per il mercato. Quanto regolare, tuttavia, dipende da posto a posto: i baschi, a un certo punto, usavano una settimana di tre giorni; per secoli, Cina, Giappone e Corea, hanno adottato una settimana da dieci giorni e altre società hanno settimane da quattro, cinque, sei, otto o nove giorni.
Ma allora com’è successo che il fortunato numero 7 sia arrivato a dominare i nostri calendari? Tutto è cominciato in modo apparentemente logico quando i babilonesi divisero il loro mese lunare in quattro, generando così dei sotto-periodi della durata di sette giorni. Poi entrò in gioco la superstizione: l’ultimo giorno della settimana cominciò a essere considerato sfortunato e si formarono certe credenze e abitudini; quella di non mangiare carne, per esempio.
È probabile che la settimana babilonese sia stata il modello per la settimana ebraica di sette giorni, che prevedeva divieti relativi ad alcuni comportamenti durante il settimo giorno, lo Shabbath. Lo schema della settimana babilonese, probabilmente, servì come modello per un’altra importante settimana da sette giorni, quella adottata ad Alessandria. Le tracce di quella settimana le possiamo vedere anche noi nei nomi dei giorni della settimana inglesi, derivati da nomi di corpi celesti: sun-day (“sun” significa sole, dunque il giorno del sole), mon-day (dove “moon” è la luna) e satur-day (il giorno di saturno).
Nel frattempo i romani cominciarono a segnare il tempo in modo diverso, e questa è la ragione per cui non avete mai sentito nessuno dire a Cesare “Attento al terzo martedì di marzo”. Il mese romano iniziava con le Calende, che gli accademici pensano coincidesse con l’inizio del ciclo lunare. Le Idi, che cadevano nel tredicesimo o quindicesimo giorno del mese, coincidevano con la luna piena. I romani, inoltre, avevano una settimana per il mercato lunga otto giorni.
Quando nell’impero romano acquistarono più influenza l’astrologia egiziana e quella cristiana, che conservò la settimana ebraica spostando però il giorno di riposo alla domenica, guadagnò spazio anche la settimana da sette giorni. Costantino, il primo imperatore cristiano, rese la cosa ufficiale nell’anno 321. Da lì in avanti, la diffusione del cristianesimo e dell’Islam, che anche adotta una settimana da sette giorni, rese la settimana da sette giorni predominante in gran parte del mondo.
Ma non c’è nulla di ineluttabile riguardo all’estenuante ripetizione dello schema “sei giorni di lavoro – un giorno di riposo”. Il lavoro è diventato più organizzato e produttivo, anche la settimana si è evoluta. Lo scrittore Witold Rybczynski ha rintracciato l’origine dell’idea di “fine settimana” nell’Inghilterra del XIX secolo, quando la rivoluzione agricola rese la terra e il lavoro più produttivi. All’inizio, dice Rybczynski, questo concesse ai lavoratori tempo per lo svago, che veniva usato spontaneamente e senza un programma preciso. Quando la rivoluzione industriale diventò la forza trainante dello sviluppo delle società occidentali, la spinta per una maggior efficienza richiese una standardizzazione del tempo dedicato allo svago. Nel 1926 Henry Ford cominciò a chiudere le sue fabbriche il sabato, in un tentativo di far cristallizzare l’usanza americana del fine settimana per i passatempo (che lui sperava includessero anche guidare). La cosa funzionò.
Saltiamo in avanti, al 2014. La maggior parte di noi che viviamo nelle società occidentali lavoriamo o andiamo a scuola per 5 giorni alla settimana, per poi prenderci due giorni di pausa per tornare poi al lavoro per altri cinque giorni, e così via. È tanto probabile passare il sabato in ufficio quanto è improbabile trascorrere il martedì in spiaggia. Andiamo avanti a vivere le nostre vite in settimane, anche se le ragioni logiche, spirituali ed economiche per fare una cosa del genere sono irrilevanti da tempo.
Ma la convenzione del ciclo 5-2 ha già cominciato a sfilacciarsi. Il Congresso, per esempio, si prende da tempo gioco della settimana da 5 giorni di lavoro: basta dare uno sguardo al calendario dei suoi lavori. Nel mondo dei media, Internet e altre ragioni commerciali hanno trasformato i mensili in settimanali e poi in quotidiani – e ora i quotidiani cosa sono… minutiani? Il videoregistratore ha fatto diventare la televisione settimanale obsoleta e Internet ad alta velocità permette a tante persone di lavorare da casa, rendendo meno marcata la distinzione tra il tempo per il lavoro e quello per lavare la biancheria. Ma anche quando proviamo a ingannare la settimana, dobbiamo in qualche modo ammettere che è lei a scrivere le regole del gioco. È ora di cambiare questa cosa.
La standardizzazione di massa della settimana lavorativa, come una sorta di compromesso tra lavoro e capitale, era perfetta per il Ventesimo secolo. Gli sforzi economici di quel secolo sono stati in larga parte motivati da problemi di coordinazione su larga scala. Si pensi, per esempio, alle difficoltà di spostare le mandrie dalla costa occidentale degli Stati Uniti ai mattatoi di Chicago e poi riportare la carne lavorata verso la costa est prima che deperisse e in modo economicamente profittevole: non erano ancora stati inventati i telefonini, i computer e il sistema autostradale. Le ore di lavoro standard permisero che le persone facessero i loro lavori in posti diversi e per diverse organizzazioni allo stesso tempo. Il fatto che tutta l’economia decise di rimanere aperta 5 giorni a settimana permise di risolvere molti problemi di coordinazione.
Gli avanzamenti nel settore dell’automazione, della computazione e della telecomunicazione, hanno reso semplice routine quei problemi di coordinazione su larga scala. L’economia della conoscenza funziona diversamente, non esiste più una necessità così pressante di avere un grande numero di persone e beni nello stesso posto allo stesso tempo, o per quel tempo di essere più o meno uniformemente lo stesso per tutti.
Il crollo dei costi per il trasporto e nuove forme di comunicazione si sono aggiunte a questa nuova flessibilità. Un programmatore di Londra può caricare un pezzo di codice per una macchina che si guida da sola alle 4 di un sabato mattina. Sarà immediatamente disponibile ai suoi colleghi di Boston e della California, e i diversi team potranno accordarsi per una videoconferenza quando gli è più comodo. Attività del genere traggono ben poco vantaggio dall’essere organizzate su un sistema settimanale.
Alcuni potrebbero pensare che il fine settimana sia l’ultimo baluardo contro l’inesorabile avanzata del lavoro. Non è così! Le persone già lavorano da casa il sabato. Più che un sacro rifugio la domenica è diventata un polveroso e dannoso mausoleo.
Per quanto riguarda le ragioni spirituali a favore di una settimana da sette giorni, mi asterrò dal parlare di metafisica e mi limiterò ad alcune considerazioni empiriche. Mentre alcuni ancora usano lo Shabbath per andare in chiesa, è chiaro che la maggior parte degli americani e degli europei non osservano più la religione. Al di là di come decidano di descriversi, credenti o non credenti, diversi sondaggi mostrano che solo il 40 per cento degli americani va regolarmente in chiesa – e si pensa che comunque il dato reale sia la metà di quello, poiché sono ancora molte le persone che mentono riguardo al loro andare in chiesa. In Europa i numeri sono ancora più bassi: solo il 3 per cento dei danesi, per esempio, si reca in chiesa settimanalmente.
Ma come la reinventiamo la settimana? Mentre il Ventesimo secolo ha visto qualche innovazione della settimana di sette giorni, il Ventunesimo secolo deve andare oltre quel modello. Sono già stati fatti dei tentativi infruttuosi. Il calendario della Rivoluzione francese divideva il mese in tre gruppi da 10 giorni, ma Napoleone reintrodusse il calendario gregoriano nel 1805. Nel tentativo di indebolire il ruolo della religione e velocizzare l’industrializzazione della Russia, Stalin impose settimane di 5 e 6 giorni tra il 1929 e il 1940. Ma in entrambi i casi c’era un governo centrale e un élite atea che provava a imporre un nuovo calendario su una maggioranza cristiana, come parte di una più vasta rivoluzione sociale e culturale. Dove la volontà d’acciaio di Stalin fallì, potrebbe farcela il libero mercato.
Il grande valore della settimana da sette giorni dipende dal network effect: se vuoi coordinare tante persone tra di loro, è utile che tutti siano sullo stesso programma. È improbabile che i genitori abbandonino il loro ciclo 5-2 se i loro bambini, a scuola, non lo fanno. Ed è poco probabile che le scuole abbandonino il loro regime di 5-2 se i genitori degli studenti non lo faranno per primi. Proprio come nell’impero romano, quando un nuovo modello di settimana cominciò ad insinuarsi arrivando dai margini dell’impero, ci vorranno gruppi isolati dall’effetto network per cominciare a sperimentare e trovare alternative.
Un paio di possibili candidati mi vengono in mente. I giovani delle start up della Silicon Valley, che lavorano ossessivamente e senza particolari legami con l’esterno, hanno già sferrato duri colpi al ciclo di veglia e sonno. Perché non provare la stessa cosa con la settimana e vedere se trovano modi più efficienti di lavorare e giocare? Naturalmente lo scopo della vita non è l’efficienza. Le comunità di artisti potrebbero invece provare a trascendere la settimana. L’anno è come una tela bianca e ogni giorno è una tessera che può essere riposizionata nel mosaico, che sia seguendo un cammino regolare o no.
È difficile dire cosa possa rimpiazzare la settimana da sette giorni. A differenza del giorno, che ha le sue basi biologiche, non c’è probabilmente nessuna necessità universale per la settimana. Pensandoci un attimo, forse la settimana della Silicon Valley, quella di Brooklyn, quella scolastica e quella cristiana potrebbero tranquillamente coesistere senza che esista una sola settimana: le persone potrebbero vivere la loro vita secondo il ciclo che più soddisfa i loro bisogni.
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