Le ricerche delle ragazze rapite in Nigeria sono a un punto morto
«Il re è nudo e tutti gli altri si grattano la testa», scrive il New York Times, e l'aiuto dei militari stranieri sta servendo a poco
Gli agenti dei servizi segreti e i militari che sono stati inviati in Nigeria da vari paesi del mondo per trovare le 300 ragazze rapite dal gruppo terroristico di estremisti islamici Boko Haram, scrive il New York Times, non hanno fatto alcun progresso o se l’hanno fatto è «molto piccolo». Il problema principale, secondo diversi diplomatici intervistati e che sono coinvolti nelle ricerche e nei soccorsi, sono le carenze dei militari nigeriani: sono male addestrati, male armati (avrebbero infatti a disposizione equipaggiamenti di qualità inferiore a quelli dei miliziani che dovrebbero combattere) e la corruzione tra loro è diffusissima.
Le studentesse, tutte tra i 15 e 18 anni, sono state rapite lo scorso 14 aprile in un dormitorio della scuola di Chibok, nel nord-est dello stato di Borno, nella Nigeria nord-orientale. Di loro non si è avuta alcuna notizia fino al 5 maggio, quando Boko Haram ha rivendicato il rapimento e ha detto che le ragazze sarebbero state vendute. Il 12 maggio era stato poi pubblicato un video dove il capo dell’organizzazione, Abubakar Shekau, aveva parlato per circa 17 minuti, aveva annunciato che le donne erano state “convertite all’Islam” e aveva detto che sarebbero state liberate in cambio del rilascio di tutti i militanti arrestati dalle autorità nigeriane. Oltre al leader del gruppo, il video mostrava circa 130 ragazze che pregavano in un luogo difficile da identificare e in cui erano tenute prigioniere. Il governo e il presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan, avevano detto che non intendevano trattare con i terroristi.
Nel frattempo, e dopo un iniziale disinteresse da parte dei governi e della stampa nel mondo, il caso delle studentesse rapite è diventato una questione internazionale: Stati Uniti, Cina, Regno Unito, Francia e Israele hanno offerto il loro aiuto e il governo della Nigeria ha accettato. In Francia, a metà maggio, è stato anche organizzato un vertice tra i presidenti di Nigeria, Ciad, Camerun, Benin e Niger per coordinare gli sforzi contro Boko Haram. L’assistenza dei paesi stranieri si è concentrata soprattutto nella ricerca, per cercare di scoprire dove si trovino esattamente le ragazze e se siano ancora tutte insieme o siano state divise in gruppi. Nonostante gli sforzi e il fatto che gli Stati Uniti abbiano inviato dei droni – per analizzare i 37 mila chilometri quadrati di foresta in cui si ritiene, fin dall’inizio, che le ragazze siano tenute prigioniere (la foresta di Sambisa, nascondiglio dei militanti di Boko Haram nel nord-est della Nigeria) – i risultati sono piuttosto insoddisfacenti. Un diplomatico intervistato dal New York Times ha dichiarato che «realisticamente non si può affermare di aver trovato qualcosa che ci faccia dire che stiamo per fare un grande passo in avanti» e un altro ancora ha spiegato: «la situazione in cui siamo è che il re è nudo e tutti gli altri si grattano la testa». Altri diplomatici hanno messo in dubbio il fatto che le ragazze possano essere salvate, sostenendo che alcune di loro sono già state uccise.
Le operazioni di ricerca sono andate molto a rilento fin dall’inizio. I funzionari militari nel nord-est continuano a insistere sul fatto che diverse pattuglie si trovano nella foresta di Sambisa e che dieci giorni fa sono addirittura arrivate molto vicino al luogo dove alcune delle ragazze erano detenute, ma che poi sono state attaccate e allontanate dai militari di Boko Haram. In realtà si discute da tempo del fatto che la presenza militare su alcune delle strade più pericolose della regione sia molto scarsa e che i soldati che presidiano i checkpoint non indossino nemmeno indumenti protettivi.
Boko Haram – che significa “L’educazione occidentale è proibita” che è stata fondata nel 2002 e ha ucciso almeno 2.300 persone dal 2010 – sta nel frattempo continuando a compiere attentati, rapimenti e omicidi di massa in varie zone del paese, oltre ad avere ormai il controllo effettivo di gran parte del nord-est. Lo scorso 7 maggio decine di uomini armati hanno ucciso centinaia di persone – 300, secondo i siti di news locali – a Gamboru Ngala, una città sul confine con il Camerun. Il 20 maggio due bombe hanno ucciso più di 100 persone a Jos e il giorno dopo, in tre villaggi del nord, sono state uccise almeno 48 persone. Domenica 25 maggio decine di uomini armati hanno preso d’assalto il villaggio di Kamuya, sempre nel nord, mentre si teneva il mercato: hanno sparato sulla folla e ucciso almeno 20 persone.