La Casa Bianca ha rivelato per sbaglio il nome del capo della CIA in Afghanistan
A causa di una serie di errori il governo americano ha fatto saltare la copertura, rendendo la sua identità nota a oltre 6.000 giornalisti
Sabato scorso, a causa di una serie di errori a catena, la Casa Bianca ha pubblicato il nome del comandante delle operazioni di spionaggio della CIA in Afghanistan, rendendo nota la sua identità a oltre 6.000 giornalisti. La CIA è l’agenzia di spionaggio degli Stati Uniti e i suoi agenti operano sotto copertura in diversi paesi del mondo. Anche il comandante della CIA in Afghanistan, dunque, lavorava senza che la sua identità fosse nota e utilizzava un falso nome.
Domenica 25 maggio, come ha spiegato il Washington Post, era in programma una visita di Barack Obama alle truppe americane a Kabul, in Afghanistan, e durante la visita era stata anche organizzata una riunione tra Obama e i principali ufficiali dell’esercito responsabili della missione americana in Afghanistan: il presidente degli Stati Uniti, infatti, è anche il capo delle forze armate del paese, il commander in chief. Per evidenti ragioni di sicurezza queste visite non sono mai annunciate alla stampa: anche se si legge sempre che Obama o altri politici fanno visite “a sorpresa” in Afghanistan o in Iraq, di fatto non esistono visite in una zona di guerra che non siano “a sorpresa”.
Il giorno prima del viaggio di Obama l’ufficio stampa della Casa Bianca aveva mandato una mail ai giornalisti che seguono il presidente nei suoi spostamenti e viaggi per informarli del programma della visita (della vita dei giornalisti al seguito di Obama ne avevamo parlato qui). Queste email sono diffuse solitamente sotto quello che nel gergo giornalistico si definisce “embargo”: l’obbligo di non diffondere quelle informazioni prima di una certa data. Nell’email, l’ufficio stampa aveva incluso anche la lista dei quindici funzionari che avrebbero incontrato il presidente alla base aerea di Bagram. Tra questi c’era anche il nome del “Chief of Station”, il modo in cui viene chiamato il più alto ufficiale della CIA in ogni paese.
La lista, è stato poi spiegato, era stata fornita dai responsabili dell’esercito americano all’ufficio stampa della Casa Bianca, che la aveva inviata ai giornalisti che avrebbero preso parte al viaggio. Come di consueto, domenica questi hanno poi girato la lista e le altre informazioni ricevute dall’ufficio stampa a tutte le altre testate giornalistiche che non avrebbero preso parte al viaggio: si stima che le informazioni sull’identità del capo della CIA in Afghanistan siano arrivate in tutto a circa 6.000 persone.
Ad accorgersi del nome del “Chief of Station” nella lista è stato Scott Wilson, un giornalista del Washington Post il cui incarico era far circolare le informazioni ottenute dalla Casa Bianca a tutti i colleghi che non avrebbero viaggiato con Obama. Wilson aveva chiesto all’ufficio stampa della Casa Bianca se si trattasse di un errore, ma siccome era arrivata dall’esercito, la lista era stata inizialmente confermata. Solo in un secondo momento l’errore era stato notato da alcuni funzionari della Casa Bianca e la lista era stata sostituita con una che non conteneva il nome del funzionario della CIA.
Nonostante l’errore fosse già stato notato da alcuni giornalisti e segnalato su Twitter, il nome dell’agente della CIA non è stato pubblicato da nessuna testata e la Casa Bianca ha chiesto che non venga fatto: anche il Washington Post, per questa ragione, non ha pubblicato il nome del “Chief of Station”.
Il Washington Post ha anche spiegato che non è chiaro se l’agente della CIA verrà fatto rientrare negli Stati Uniti, ora che la sua copertura è saltata. In una situazione simile, qualche anno fa, era stato necessario riportare un agente della CIA in patria dopo che la sua identità era stata svelata, poiché aveva ricevuto minacce di morte. La situazione potrebbe essere diversa oggi: l’agente la cui identità è stata svelata è uno dei più alti in grado e dirige le operazioni di spionaggio degli Stati Uniti in tutto il paese, per questo motivo la sua identità era già nota ad alcuni generali dell’esercito afghano ed è molto improbabile che avrebbe preso parte a missioni clandestine nel paese, che avrebbero richiesto l’anonimato.