L’editoriale di Luca Landò, direttore dell’Unità, sulla crisi del giornale
L’Unità sta vivendo uno dei suoi momenti più difficili da quando è tornata in edicola il 28 marzo 2001 dopo una chiusura durata otto lunghi mesi. Pochissimi, prima di quel giorno, credevano che il giornale fondato da Gramsci e travolto dai conti avrebbe ritrovato la voce. E invece quei pochi, pochissimi smentirono ogni previsione dimostrando che nessuno può permettersi di spegnere un giornale pieno di vita, di storia e di passione come l’Unità.
Quello che avete tra le mani è un giornale cocciuto e testardo. Perché solo i cocciuti e i testardi si ostinano a sfidare i numeri che non tornano, i finanziamenti che calano, la pubblicità che svanisce. I giornali, tutti i giornali, stanno vivendo una crisi profonda e grave.
Ma la crisi che riguarda l’Unità è ancora più grave e ancora più profonda. Perché un giornale politico e impegnato, un giornale dalla striscia rossa e dalle scelte di campo nette come le nostre ha una vita complicata. Lo sa bene la concessionaria quando, andando a proporre la nostra testata agli inserzionisti, si sente ripetere «ma l’Unità è un giornale politico…». Oh bella, e che sono gli altri? Opere di carità? Un giornale è politico per definizione, perché la vita è politica. La lettura, nel senso dell’interpretazione delle notizie e dei fatti è politica. A meno che non si voglia far finta di nulla e girare la testa dall’altra parte. Ma anche questa è politica.
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