In Libia i guai non sono finiti
A Bengasi e a Tripoli va avanti il confronto tra milizie islamiste, forze paramilitari e governo: intanto è stata fissata la data delle prossime parlamentari
La commissione elettorale della Libia ha deciso la data delle prossime elezioni parlamentari – il 25 giugno 2014 – nel tentativo di fermare la grave crisi che è iniziata nei giorni scorsi a Bengasi e si è poi estesa fino alla capitale Tripoli. La crisi coinvolge diversi milizie islamiste, un ex colonnello a capo di una forza paramilitare di cui si sa molto poco, e il governo libico, che dal 2011 – cioè dall’uccisione dell’ex presidente Muammar Gheddafi – fatica a imporre il suo controllo su tutto il territorio nazionale.
L’ex colonnello libico che ha provocato il caos a Bengasi si chiama Khalifa Haftar. Il suo potere e la sua influenza in quella zona sono così forti che l’esercito libico – che in parte gli si oppone, anche se alcuni generali sono passati dalla sua parte – ha dovuto imporre una no-fly zone sopra la città, per evitare che le sue forze paramilitari usassero mezzi aerei per colpire i miliziani islamisti. Domenica Haftar ha anche annunciato di avere attaccato il Parlamento di Tripoli e di averne sospeso le attività. Haftar si è detto interessato a competere per la presidenza: un ruolo rimasto vacante dalla fine della rivoluzione libica, in attesa dell’approvazione di una nuova Costituzione.
La situazione in Libia è per certi versi incredibile e unica. Per dare un’idea: prima dell’annuncio della data delle prossime elezioni, i parlamentari libici si sono incontrati in un hotel il cui indirizzo avrebbe dovuto rimanere segreto. Sull’hotel poco dopo sono caduti dei missili (non ci sono stati feriti). Intanto la situazione sul campo rimane molto caotica. Le milizie alleate all’ex colonnello Haftar si sono posizionate sulla strada che porta verso l’aeroporto di Tripoli, che si trova poco più a sud della capitale; le milizie islamiste provenienti da Misurata, altra città libica nella quale in passato ci sono stati diversi incidenti e violenze, si sono posizionate invece nei pressi di Tripoli, e secondo il Wall Street Journal sarebbero intenzionate a entrare in città. La situazione a Bengasi rimane invece molto confusa, e non è chiaro chi comanda cosa.
L’ex colonnello Haftar ha spiegato di volere sconfiggere gli islamisti, responsabili secondo lui di appoggiare e favorire le forze radicali nel paese. La sua azione ha trovato opposizione soprattutto dai Fratelli Musulmani, uno dei gruppi più numerosi in Parlamento, che l’ha definito «un anti-rivoluzionario alleato con quello che rimane delle forze di Gheddafi». Anche il governo si è espresso duramente contro di lui: dal marzo 2014 il primo ministro della Libia è Ahmed Miitig, considerato dalla maggior parte degli analisti molto vicino ai fondamentalisti islamici.
I paesi della regione hanno reagito immediatamente al caos che si è creato in Libia in questi ultimi giorni: l’Arabia Saudita e l’Algeria hanno chiuso le rispettive ambasciate a Tripoli per ragioni di sicurezza (l’Algeria ha mandato delle forze speciali a supporto dell’evacuazione e ha annunciato il massimo stato di allerta nelle zone del confine con la Libia). L’Egitto ha imposto un divieto temporaneo ai suoi cittadini per eventuali viaggi in Libia, mentre gli Stati Uniti hanno detto di stare monitorando la situazione libica molto attentamente.