L’Australia ai Mondiali
Settima puntata della guida ai Mondiali: una squadra giovane e inesperta ma soprattutto un allenatore che ha deciso di cambiare tutto, stile e giocatori
La nazionale australiana di calcio si è qualificata ai prossimi Mondiali grazie al secondo posto nel Girone B della fase finale delle qualificazioni della AFC, la confederazione asiatica di calcio (l’Australia da anni non compete più nella confederazione dell’Oceania, perché le nazionali presenti non sono al suo livello). Ha ottenuto 13 punti in otto partite ed è arrivata dietro al Giappone, che ne ha ottenuti 17; nell’altro girone si sono qualificate Iran e Corea del Sud. È allenata dal 23 ottobre 2013 dal 48enne Ange Postecoglou, un ex calciatore greco-australiano che dal 2000 al 2007 aveva già allenato la nazionale australiana Under 20 e che in sette mesi si è guadagnato una certa fiducia da parte di tifosi e commentatori. È stata sorteggiata in un gruppo complicatissimo, fra Spagna, Paesi Bassi e Cile.
Le basi: il calcio in Australia
La Serie A australiana esiste in varie forme dal 1977. Fino al 2004 si chiamava National Soccer League, ma la gestione degli anni Novanta aveva accumulato moltissimi debiti e in generale non aveva funzionato: molte squadre erano composte prevalentemente da giocatori semi-professionisti – cosa che mostrava una certa distanza con i campionati europei – e nessuna di queste era mai riuscita a crearsi una solida base di tifosi. Nel 2004 si decise di fare fallire la National Soccer League e in un anno e mezzo fu creata l’attuale Hyundai A-League, un campionato professionistico “bloccato” – cioè senza retrocessioni, all’americana – alla quale partecipa una sola squadra per ciascuna delle sei città più grandi del paese (Sydney, Melbourne, Brisbane, Adelaide, Perth e Newcastle) più una della Nuova Zelanda. Le altre squadre fallirono oppure, ancora oggi, giocano nella moltitudine di campionati semi-professionistici sotto l’A-League.
Oggi il movimento calcistico in Australia ha conservato molte caratteristiche insolite, che girano però attorno a un’idea precisa: rendere economicamente sostenibile – e man mano più competitivo – l’intero sistema, cercando di puntare sulle squadre giovanili autoctone piuttosto che sull’acquisto di giocatori famosi prossimi alla pensione. Inoltre sono state create regole che rendono piuttosto complicato per le squadre diventare più forti grazie a una improvvisa disponibilità di soldi: ogni squadra può avere solo 5 giocatori non australiani e il suo intero monte stipendi – eccetto un unico giocatore chiamato marquee, il più famoso dei quali è stato Alessandro Del Piero – non può superare i 2,5 milioni di dollari australiani, l’equivalente di 1,6 milioni di euro.
Negli ultimi anni, comunque, gli spettatori del calcio sono aumentati costantemente, così come il pubblico televisivo: nel novembre del 2012 la tv di stato australiana SBS ha ottenuto i diritti televisivi della A-League per quattro anni, versando alla federazione 160 milioni di dollari australiani. L’ex calciatore inglese Spencer Prior, ora commentatore per Fox Sports Australia, ha detto: «portare nomi grossi nel campionato australiano è ancora importante: ma stiamo anche cercando di costruire dei club solidi».
La nuova direzione
Il nuovo allenatore Postecoglou fin dall’inizio è sembrato molto attento a rispettare la direzione generale presa dal movimento calcistico australiano, privilegiando l’utilizzo di un gruppo di giovani giocatori cresciuti in squadre australiane: mentre il suo predecessore – l’olandese Pim Verbeek – disprezzava apertamente l’A-League e preferiva convocare giocatori esperti (qualcuno li definirebbe “bolliti”) che facevano parte di squadre europee, Postecoglou ha pre-convocato per i prossimi Mondiali 22 calciatori (su 30 totali) cresciuti in squadre australiane.
Inoltre ha escluso dalle convocazioni il portiere Mark Schwarzer, il trequartista Harry Kewell, il difensore ed ex capitano Lucas Neill e il terzino Brett Emerton, tutti sopra i 35 anni e con moltissime presenze in nazionale (due giocatori su tre, a questo giro, hanno giocato meno di dieci partite con la nazionale). Con le dovute proporzioni, è come se l’allenatore della nazionale italiana lasciasse a casa Buffon, Chiellini e De Rossi. Oltretutto, Postecoglou ha preso a giocare in maniera piuttosto spregiudicata: la seconda partita della sua gestione – la prima si era giocata pochi giorni dopo la sua assunzione – l’ha persa 4-3 contro l’Ecuador (e vinceva 3-0). Lo stesso Postecoglou ha ammesso che «la squadra è fatta da giocatori inesperti» ma che «c’era bisogno di rigenerare questa nazionale»: ha inoltre spiegato che i Mondiali sono «una grande opportunità per questi giocatori per dare solidità alla loro esperienza in nazionale».
In Australia sembra che l’abbiano presa piuttosto bene: il magazine sportivo The Roar ha scritto che «i suoi predecessori, Verbeek e Osieck, non apprezzavano né erano interessati al tipo di gioco che piace ai tifosi australiani. Giocare in maniera difensiva ci può stare, ma l’Australia dava l’impressione di gettare la spugna prima ancora che la partita fosse iniziata. […] Almeno questo non succederà, con un allenatore che non ha motivi per proteggere il suo curriculum vitae». Sul Sydney Morning Herald, l’opinionista sportivo Malcolm Knox ha detto che «bisogna ammirare il coraggio di Postecoglou: visto che l’Australia uscirà probabilmente al primo turno, la cosa più semplice al mondo sarebbe stata far fare un giro d’onore ai veterani, regalargli un orologio d’oro e poi ricostruire la squadra dopo il torneo. Invece, convocando gente giovane, Postecoglou si sta prendendo le proprie responsabilità. È un allenatore furbo, e farà da parafulmine, distogliendo le critiche dai suoi giocatori».
Del vecchio gruppo, sono rimasti l’attaccante 34enne Tim Cahill (che ha giocato per otto stagioni all’Everton e ora è nei New York Bulls), il centrocampista 34enne Mark Bresciano (che in Italia ha giocato per Empoli, Parma e Palermo e ora è in Qatar all’Al-Gharafa) e il 32enne terzino destro Luke Wilkshire, che gioca nella Dinamo Mosca. Fra i più giovani ci sono il 21enne Bailey Wright, che gioca nel Preston North End nell’equivalente inglese della Serie C (ma il Guardian suggerisce che la sua possa essere stata una convocazione “celebrativa”: il Preston North End fu la squadra di cui fece parte Joe Marston, uno dei primi calciatori australiani “famosi”, il primo a giocare una finale di FA Cup, nel 1954), il centrocampista 21enne Benjamin Halloran, che gioca nella Serie B tedesca con il Fortuna Düsseldorf e l’attaccante 20enne Adam Taggart, che coi Newcastle Jets in A-League ha segnato 16 gol in 25 partite (e ha già segnato 3 gol in quattro partite con la nazionale). Nel mezzo, ci sono giocatori come il 24enne Ryan McGowan, cresciuto in Australia e poi andato a giocare in Scozia e in Cina, e l’attaccante 25enne James Troisi, in comproprietà fra Juventus e Atalanta ma in questa stagione in prestito ai Melbourne Victory.
Nella partita contro l’Ecuador la “nuova” Australia – che aveva 9 giocatori diversi rispetto alla partita di pochi mesi prima contro la Francia, persa per 6-0 – ha tenuto bene palla e giocato con discreta velocità per tutto il primo tempo. Nel secondo tempo, mostrando anche una certa fragilità mentale, si è fatta rimontare tre gol e ha perso la partita. Sia in questa partita sia nella prima della gestione di Postecoglou – contro la Costa Rica, vinta 1-0 – la squadra ha giocato con il 4-2-3-1, un modulo molto offensivo.
Chi è stato messo da parte
Postecoglou, al suo arrivo, ha dovuto fare i conti con i giocatori che negli anni precedenti avevano fatto parte della “golden generation”: quelli che ai Mondiali del 2006 – allenati dall’esperto Guus Hiddink – erano arrivati secondi in un girone complicato con Brasile, Croazia e Giappone ed erano stati eliminati agli ottavi di finale (finora miglior risultato di sempre dell’Australia ai Mondiali) dall’Italia, con un rigore parecchio dubbio provocato da Fabio Grosso e segnato da Francesco Totti. All’epoca – oltre i già citati Emerton, Neill e Schwarzer – tutta la difesa dell’Australia giocava in buone squadre inglesi (c’erano fra gli altri Craig Moore del Newcastle e Stan Lazaridis del Birmingham City) e in attacco avevano Mark Viduka, un ottimo attaccante (giocava nel Middlesborough, dove in tre stagioni fece 42 gol in 101 partite). Con l’Italia fu una partita molto tesa: l’Italia attaccò moltissimo ma disordinatamente, e l’Australia andò vicina al gol un paio di volte su calcio da fermo.
Speranze?
Pochissime. Se non altro, quella di rendere interessanti le partite del proprio girone, nel caso decidessero di riproporre uno stile di gioco spregiudicato, e di dare un po’ di solidità ed esperienza a un gruppo di giocatori ancora molto giovani.
Il Post pubblica un articolo al giorno dedicato a ciascuna delle squadre che parteciperanno ai Mondiali. L’archivio degli articoli precedenti di questa serie lo trovate qui.
foto: Tony Feder/Getty Images