Le fotografie di Camille Lepage
La fotogiornalista francese uccisa nella Repubblica Centrafricana viveva dal 2012 in Sud Sudan: era appassionata di cose africane e voleva vivere dove "nessuno vuole andare"
Martedì 13 maggio l’ufficio di presidenza della Francia ha annunciato la morte della 26enne Camille Lepage, fotogiornalista francese che stava lavorando nella Repubblica Centrafricana, dove da poco più di un anno va avanti una guerra civile molto violenta tra forze cristiane e musulmane. Il corpo di Lepage è stato trovato dopo che un gruppo di soldati francesi di peacekeeping ha fermato per un controllo una macchina guidata da alcuni miliziani cristiani – gli “anti-balaka”, opposti a Séléka, la fazione di musulmani – nella regione occidentale di Bouar. Nel comunicato diffuso martedì dall’ufficio del presidente Francois Hollande, si legge che il governo farà “tutto il possibile” per capire come e da chi è stata uccisa Lepage.
Lepage aveva lavorato negli ultimi anni per diverse grandi testate internazionali, tra cui Guardian, Le Monde, Washington Post e Wall Street Journal. Si era trasferita a Juba, in Sud Sudan, nel luglio del 2012, dopo avere completato gli studi all’Università Solent nel Southampton, nel Regno Unito. In un’intervista data lo scorso ottobre al blog di fotografia PetaPixel, Lepage aveva parlato dei progetti a cui stava lavorando, “You Will Forget Me” e “Vanishing Youth”, realizzati in Sud Sudan: «Fin da quando ero piccola, ho sempre voluto vivere in un posto in cui nessuno voleva andare, seguire e raccontare le storie di una guerra. […] Non posso accettare che le tragedie delle persone non siano raccontate semplicemente perché nessuno può guadagnarci sopra».
Lepage ha aggiunto a PetaPixel: «Voglio che chi guarda le fotografie possa capire cosa stanno vivendo le persone ritratte: mi piacerebbe che empatizzassero con loro come esseri umani, piuttosto che vederli solo come un altro qualsiasi gruppo di africani che soffre per una guerra che si combatte da qualche parte in questo oscuro continente. La mia speranza è che pensino “come può essere possibile che queste persone vivano in un inferno, perché non ne sappiamo nulla, e perché nessuno fa nulla?”».
Lepage era arrivata nella Repubblica Centrafricana nel dicembre 2013, collaborando inizialmente con l’organizzazione medico-umanitaria Medecins sans Frontières. Nel suo ultimo post su Instagram del 6 maggio, Lepage aveva raccontato di essersi unita a un gruppo anti-balaka che stava viaggiando da ore lungo un tragitto pensato per evitare i checkpoint dei peacekeepers africani. Gli anti-balaka sono un gruppo di varie milizie – per la maggior parte formato da ribelli cristiani con scarsa educazione – che stanno combattendo contro Seleka, coalizione formata da miliziani musulmani, molti dei quali mercenari o provenienti dai paesi vicini.
Dall’inizio del conflitto – nel marzo del 2013, quando i ribelli assistiti da mercenari provenienti da Ciad e Sudan presero il potere con un colpo di stato contro l’allora presidente François Bozizé – nella Repubblica Centrafricana sono state uccise migliaia di persone. Le violenze sono continuate nonostante l’elezione da parte del parlamento della prima presidente donna della Repubblica Centrafricana, Catherine Samba-Panza, cristiana ma considerata “neutrale” dalle diverse forze politiche del paese.