Tecnici o politici, per internet?
Per il sottosegretario alle Comunicazioni Giacomelli, che risponde alle critiche sul Post di Massimo Mantellini, meglio che decidano i politici, confrontandosi con tutti
Gentile Massimo Mantellini,
ho letto con attenzione il suo articolo sul Post e mi costituisco. Ho tutte e tre le caratteristiche che lei critica: sono un giornalista, sono un politico, sono stato democristiano. Ho esperienze televisive alle spalle, ma non abbastanza da potermi fregiare del titolo di “tecnico”, possibilmente con autocertificazione di apoliticità, che oggi va per la maggiore. Sono un politico, nemmeno giovanissimo (ammiravo Moro e Zaccagnini, pensi un po’). Mi sento parte di quel cattolicesimo democratico che, non condividendo l’idea dei “valori non negoziabili”, ha sempre vissuto la laicità come servizio alla comunità civile, alla persona ed alla sua libertà ed ha sempre concepito la politica non come mera gestione del potere ma come continua tensione riformatrice.
Mi scusi questo accenno personale ma poiché oltre il “metodo” c’è la persona, mi sembravano necessarie due cose su me, almeno per non essere identificato con quella rappresentazione legittima ma un po’ sommaria di una cultura politica.
È però sul punto centrale della sua argomentazione, se l’ho ben capita, che vorrei esprimere la mia opinione: diamo per acquisito (secondo me in realtà la cosa è un po’ più articolata) che oggi la vera centralità sia quella della Rete e della sua forza innovatrice. Regolare il rapporto tra i principi e gli interessi in gioco dei diversi soggetti, gli utenti, gli OTT, i broadcaster, i produttori, i governi, le culture e le comunità, è un compito tecnico o politico? Esiste cioè una sola risposta possibile e serve la tecnica per individuarla o esistono molte risposte possibili e serve la politica per graduare le priorità e costruire la sintesi equilibrata degli interessi? Qual è la competenza preventiva richiesta per affrontare questi nodi che, per incidens, non possono esser semplicemente considerati un settore dell’attività di governo o competenza di una sola persona? Ed inoltre: è immaginabile pensare che si consideri Internet un semplice tassello aggiuntivo ad uno scenario che lascia uguali a se stessi i soggetti tradizionali della comunicazione e non solo? A me pare di no e credo lei sia d’accordo, ma se devo guardare il bilancio delle stagioni dei Tecnici, alle nostre spalle, devo ritenere che pensassero questo. O forse, scelga lei, che, prescindendo dalla dimensione politica, non avessero gli strumenti per comprendere e governare il cambio di paradigma in atto.
E ancora: come lei credo nella Net neutrality, in una Rete libera e aperta, ma vedo che perfino negli Stati Uniti dell’amministrazione Obama (quella della celebre foto della cena con i CEO della Silicon Valley) emerge la consapevolezza di una complessità a cui non si sfugge. La recente pronuncia, tutta politica, della Federal Communications Commission apre chiaramente la questione.
Mi sbaglierò ma credo profondamente che per governare questa complessità e superare vecchi e nuovi conflitti di interesse, serva la politica. Il segno del governo Renzi, in fondo, è proprio questo: dopo gli anni dei tecnici, la centralità di una nuova politica chiamata a risalire la corrente a causa del discredito “conquistato” negli anni. Una nuova politica che sceglie, cambia, prova a dare risposte, che non fa melina e non rinvia, non si limita a “leggere gli appunti” dei dirigenti ministeriali. Non è certo detto che il mio lavoro risulti adeguato a questa ambizione ed è assolutamente legittimo dubitarne; quello che è certo è che il mio ruolo non nasce da una stanca ripetizione di un vecchio metodo ma al contrario da una nuova, non delegabile, assunzione di responsabilità della politica.
Lei ha già formulato una opinione, mi auguro non definitiva, su di me e sulla mia esperienza di governo. È certo legittimo che lei lo faccia ed io la rispetto. Vorrei farle un invito: confrontiamoci nel merito delle scelte che via via il governo proporrà. Proverò a smentirla non limitandomi a “buone intenzioni” e, alla fine di questa parentesi, faremo, se vuole, un bilancio dei risultati.
Cordiali saluti
Antonello Giacomelli
Caro Giacomelli,
grazie per il commento. Come sa e come certamente ha letto nel mio articolo non è Lei il problema al centro della discussione ma un metodo di cooptazione politica che è stato in questi anni tanto usuale quanto fallimentare per l’interesse dei cittadini. Un metodo che non accenna ad essere modificato. Serve la politica? Ovviamente, serve. Dirlo è una specie di consolante tautologia. Tuttavia forse servirebbe una politica che inizi a scegliere i suoi rappresentanti fuori dalle logiche solite, che nel caso delle TLC sono quelle cui accennavo. E nelle logiche solite, basta uno sguardo agli ultimi dieci anni per accorgersene, i rapporti fra governo ed innovazione sono usciti sempre, per una ragione o per l’altra, con un bilancio che ha sfavorito i cittadini e tutelato la conservazione.
p.s. se come me crede nella neutralità della rete non badi a quelli che in questi giorni le stanno spiegando che la neutralità è un valore negoziabile. (M.M.)