Cliven Bundy contro gli Stati Uniti

La storia incredibile e sanguinosa delle milizie armate che si oppongono al governo di Washington, e quella dell'allevatore esaltato che è tornato a farne discutere

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

La sera di sabato 3 maggio, durante l’annuale cena con i giornalisti inviati alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha fatto una battuta piuttosto oscura – anche per chi segue l’attualità politica americana. Parlando di un campione di snowboard presente in sala, Obama ha detto: «Non avevo mai visto fare una giravolta di 180 gradi così rapida da quando Rand Paul ha disdetto l’invito a cena per quel rancher». La battuta ha bisogno di qualche spiegazione. Primo: Rand Paul è un politico repubblicano, un senatore considerato in grande ascesa, figlio del più noto ed esperto Ron Paul. Secondo: “quel rancher” è Cliven Bundy, un allevatore del Nevada che pochi giorni prima aveva fatto alcune battute razziste. Rand Paul, che aveva sempre difeso Bundy, è stato costretto a dissociarsene e criticarlo duramente: ma perché le dichiarazioni di un allevatore contano così tanto e coinvolgono un senatore?

Bundy è molto più di un semplice cowboy repubblicano a cui è scappata una battuta razzista. È piuttosto famoso e da molto tempo è un simbolo dell’estrema destra, per via di una causa aperta da vent’anni con il governo federale. Poche settimane fa insieme a decine di uomini armati è riuscito a respingere un tentativo di sequestrare la sua mandria da parte degli agenti del governo. Oggi è trincerato nel suo ranch, circondato da decine di uomini armati che hanno giurato di proteggere lui e la sua famiglia da quelli che chiamano i “soprusi” del governo. Il fenomeno delle milizie armate antigovernative – che sembrava scomparso alla fine degli anni Novanta – ha radici profondissime nella storia degli Stati Uniti, un paese nato proprio grazie alla ribellione contro un governo oppressivo e distante. Oggi però quelle “milizie” riportano alla mente degli americani alcuni degli episodi più tragici della loro storia recente, da Waco a Oklahoma.

Lo scontro è appena cominciato!
Cliven Bundy ha 67 anni ed è nato a Bunkerville, in Nevada. È mormone, ha 14 figli e più di 50 nipoti. Si guadagna da vivere (e piuttosto bene) grazie a una fattoria in mezzo al deserto del Nevada, in cui coltiva meloni e alleva mucche. Come molti altri allevatori dell’ovest, Bundy non porta al pascolo le mucche su terreni di sua proprietà ma su quelli di proprietà del governo federale, o meglio: del Bureau of Land Management (BLM), un’agenzia governativa che possiede l’83 per cento di tutta la terra del Nevada.

Da quando negli anni Novanta il governo ha deciso di impedire il pascolo in un pezzo di quell’area, per costruirci una riserva naturale per le tartarughe del deserto (una specie a rischio di estinzione), Bundy ha deciso di non pagare più la tassa che gli permetteva, al costo di circa 1,35 dollari al mese per ogni mucca, di pascolare le sue mandrie sui terreni federali. Dal 1993 a oggi Bundy ha accumulato quindi 1,1 milione di dollari di debiti nei confronti del BLM. Bundy sostiene che il governo federale non ha diritto di imporre tasse sulle terre che i suoi avi lavorano dal 1870. Dice di rispettare tutte le leggi dello stato del Nevada ma di non riconoscere alcuna autorità superiore (e quindi di non riconoscere il governo federale, quello con sede a Washington). Il lato comico di una rivolta cominciata a causa di una specie rara di tartarughe è stato ignorato da molti estremisti di destra e fanatici libertari, che hanno dato a Bundy un grande e concreto sostegno nella sua lotta contro i “soprusi” del governo – il sostegno politico, invece, gli è arrivato da alcuni pezzi del partito repubblicano e dalla rete televisiva Fox News (almeno fin quando non si è lasciato sfuggire un paio di battute razziste).

La ventennale contesa di Bundy ha avuto una svolta lo scorso aprile. Dopo anni passati nei tribunali – che hanno quasi sempre dato ragione al governo – a metà aprile il BML ha deciso di passare all’azione, sequestrando le mucche che violavano i confini dei terreni federali. È stata una scena da film western, ma nel 2014: decine di ranger del BML, a cavallo e armati di lazo, sono entrati nei terreni federali dove Bundy aveva lasciato al pascolo il suo bestiame e hanno iniziato a catturare le sue mucche. Bundy e la sua numerosa famiglia sono intervenuti quasi subito. Uno dei suoi figli è stato colpito da un taser – l’arma che stordisce con una scarica elettrica – e il video è circolato moltissimo sui siti e sui forum dell’estrema destra. Centinaia di persone sono arrivate a Bunkerville per aiutare Bundy: in poco tempo sui terreni contestati è nato un accampamento pieno di bandiere americane, birra, barbecue e fucili d’assalto. Il 13 aprile insieme a Bundy c’erano 400 persone e almeno altrettante armi da fuoco, per opporsi agli uomini del governo. Lui stesso, a cavallo, con una bandiera americana in mano, ha iniziato a manifestare davanti ai ranger – insieme a donne, bambini e altri uomini che cantavano slogan e reggevano cartelloni. Uno di questi era particolarmente evocativo e recitava: “Il West è stato conquistato? No, lo scontro è appena cominciato!”.

A pochi metri da questa manifestazione pacifica – e con un atteggiamento ben diverso – si erano schierati gli uomini delle milizie. Armati di AR-15, AK-47 e altre armi da guerra erano sdraiati sul ponte della vicina statale e tenevano le loro armi puntate sugli agenti federali. Erano in diverse decine, con giubbotti antiproiettile e divise mimetiche. Sono uomini che condividono gli ideali di Bundy e appartengono a organizzazioni con nomi evocativi: Milizia del Montana, Guardia Pretoriana e soprattutto i più organizzati e meglio armati di tutti: gli Oath Keepers, i “custodi del giuramento”, che hanno promesso di disobbedire a qualunque ordine in contrasto con la Costituzione americana – o almeno: con la loro interpretazione della Costituzione. Qui bisogna aprire una parentesi e spiegare che al contrario di quel che avviene in molti altri paesi (come l’Italia, per fare un esempio facile), negli Stati Uniti il culto sacrale della Costituzione è storicamente riservato alla destra e all’estrema destra, ai conservatori, a quelli che più ce l’hanno col governo, perché la Costituzione è il testo che regola i rapporti tra i singoli stati e sopratutto tra questi e lo stato federale. La sinistra e i progressisti sono di solito più legati al Bill of Rights, i primi dieci emendamenti alla Costituzione, che sanciscono tra gli altri la libertà di parola e di riunirsi, e alla Dichiarazione d’indipendenza, che contiene il principio di uguaglianza tra tutti gli uomini.

Ad ogni modo: la manifestazione è andata avanti per ore in un clima sempre più teso. Alla fine è intervenuta la polizia di Las Vegas. Dopo una breve trattativa gli agenti del governo hanno deciso – “per evitare violenze” – di ritirarsi e riconsegnare tutti i 380 capi di bestiame sequestrati a Bundy.

Molti testimoni hanno raccontato che la situazione era molto vicina allo sfuggire di mano. Miliziani e federali si sono spintonati e diverse troupe di giornalisti sono state malmenate e minacciate. “Se qualcuno mi punta una pistola, io gliela punto a mia volta”, ha detto uno dei miliziani. Il giorno prima dello scontro Bundy, mentre uno dei suoi figli era stato fermato dalla polizia, aveva dichiarato: «Hanno le mie mucche e ora hanno anche mio figlio. La guerra comincia domani!». Durante le ore di tensione in cui federali e miliziani si sono fronteggiati, in molti hanno pensato all’episodio che accadde vent’anni fa, in Texas. Come ha dichiarato uno degli uomini di Bundy: «So cos’è successo a Waco. Ho visto il modo in cui il governo ha bruciato quelle persone. Non permetteremo che succeda di nuovo».

Cos’è “Waco”: la strage del Monte Carmelo
Waco era la parola che gli uomini di Bundy gridavano e avevano scritto sui loro striscioni; ed era la parola che gli agenti federali e la polizia di Las Vegas pronunciavano a bassa voce. «Paragonare quello che sta succedendo qui a Waco non serve a nessuno», ha detto nel momento più intenso dello scontro Tom Roberts, vicecapo della polizia di Las Vegas. “Obama, non vogliamo un’altra Waco”, era scritto sui cartelloni degli uomini di Bundy.

Waco è una città di circa centomila abitanti nell’ovest del Texas, a pochi chilometri dal “Monte Carmelo”, il nome biblico che la setta dei davidiani aveva dato al loro tempio di cemento. I davidiani nacquero negli anni Cinquanta da uno scisma all’intero della chiesa degli Avventisti del settimo giorno. Come molte altre sette simili, i davidiani credevano nell’apocalisse, nei leader carismatici e nel diritto di possedere armi automatiche. La storia dei davidiani, un gruppo piccolo costituito da circa un centinaio di persone, fu lunga e particolarmente tormentata. Nel quasi mezzo secolo della loro storia ci furono lotte interne, furti di cadavere, sparatorie e sfide a compiere miracoli tra i vari aspiranti leader.

Alla fine degli anni Ottanta la leadership del culto venne conquistata da David Koresh, un individuo a metà strada tra il profeta e il truffatore. Koresh sosteneva che Dio gli avesse affidato la missione di procreare con le donne della setta in modo da stabilire una “stirpe di David” destinata a salvarsi dall’apocalisse. Gli uomini della setta dovevano rimanere celibi, mentre lui aveva il diritto di procreare con tutte le donne del gruppo. Koresh era poligamo e si sposò con ragazze che avevano a volte anche 14 anni. In una serie di articoli pubblicata alla fine del febbraio del 1993, intitolata “Il messia peccatore”, due giornalisti del Waco Tribune-Herald descrissero Koresh così:

“Se siete un davidiano, allora credete che Gesù Cristo viva su uno spoglio pezzo di terra chiamato “Monte Carmelo” a una decina di chilometri da Waco. Gesù ha le fossette, la licenza media, ha sposato sua moglie quando lei aveva 14 anni, gli piace la birra, suona la chitarra, gira con una Glock da nove millimetri, possiede un arsenale di fucili d’assalto e ammette apertamente di essere il peggiore dei peccatori.”

Poco prima che il Waco Tribune-Herald cominciasse a pubblicare i suoi articoli, Koresh e i davidiani avevano attirato l’attenzione delle agenzie governative federali. In particolare, quella del Bureau of Alcol, Tobacco and Firearms (ATF), che cominciò a interessarsi a un numero crescente di rapporti e testimonianze che indicavano come i davidiani stessero mettendo insieme un arsenale di armi illegali. L’ATF mise in piedi una maldestra operazione di sorveglianza che comprendeva anche l’invio di un agente sotto copertura. I davidiani si accorsero di essere sorvegliati e si prepararono a resistere.

La pubblicazione del primo articolo su Koresh spinse l’ATF a intervenire: il 28 febbraio 1993 gli agenti decisero di mettere in atto il mandato di perquisizione che avevano ottenuto dal giudice. Gli agenti dell’ATF immaginavano che i davidiani si sarebbero opposti alla perquisizione, così pianificarono un’operazione militare che prevedeva l’impiego di più di 80 agenti e tre elicotteri della guardia nazionale. L’effetto sorpresa venne rovinato quando alcuni uomini chiesero indicazioni a un postino su come arrivare in cima alla montagna. Il postino si rivelò essere il fratellastro di Koresh.

Quando gli agenti arrivarono al complesso, a bordo di rimorchi per cavalli trainati da alcuni pick-up, i davidiani avevano già preparato le armi. Appena gli agenti provarono a irrompere cominciò una sparatoria. Dopo quarantacinque minuti agli agenti dell’ATF cominciarono a finire le munizioni, mentre i davidiani sembravano averne a non finire. Alla fine, dopo due ore di sparatoria, alle 11.30, l’ATF e i davidiani si accordarono per un cessate il fuoco. Quattro agenti erano stati uccisi ed altri diciotto erano stati feriti, mentre cinque davidiani vennero uccisi (un sesto membro della setta venne ucciso in circostanza poco chiare alcune ore dopo il cessate il fuoco).

Il filmato dell’irruzione dell’ATF a Monte Carmelo

Il raid era stato un completo fallimento. I davidiani si barricarono dentro l’edificio, mentre l’FBI prese il comando delle operazioni e cominciò un assedio che sarebbe durato per cinquantuno giorni. Al suo culmine, l’operazione costava un milione di dollari al giorno e impiegava – oltre a centinaia di agenti e militari – una decina di veicoli da combattimento per fanteria Bradley e due carriarmati Abrams da 70 tonnellate. Uno scontro da guerra, dentro gli Stati Uniti. Vennero utilizzate anche tattiche di “guerra psicologica” per cercare di spingere i davidiani alla resa. L’FBI cercò di privarli del sonno, trasmettendo notte e giorno musica pop ad alto volume, registrazioni di turbine di aerei e persino versi di agnelli durante il macello. Nessuno di questi sistemi funzionò. Come dissero i critici dopo l’operazione, l’FBI stava tentando di rendere ancora più nervosi un gruppo di persone che già considerava dei folli.

Waco

Alla fine, il 19 aprile, iniziò un nuovo assalto. Alle otto di mattina due veicoli corazzati vennero utilizzati per creare dei fori nelle mura della struttura e pompare all’interno del gas lacrimogeno. L’idea probabilmente era stordire i davidiani e costringerli a uscire, ma dopo quattro ore i federali cominciarono a vedere del fumo uscire dalla costruzione. In pochi minuti l’intero edificio era avvolto dalle fiamme. A mezzogiorno e mezzo un serbatoio di propano esplose, distruggendo gran parte dell’edificio. Alle 13, quando le fiamme si estinsero, dell’edificio non era rimasto più nulla. Soltanto nove persone fuggirono dall’edificio. Nel bunker sotto il complesso principale vennero ritrovati 76 corpi, tra cui molte donne e bambini. Tra questi ultimi, molti avevano ferite di arma da fuoco o di coltello. Secondo i medici legali erano i segni di un’esecuzione compiuta da altri davidiani per risparmiargli una morte più dolorosa. Le inchieste ufficiali conclusero che gli uomini di Koresh avevano benzina in tutto l’edificio poco prima dell’inizio dell’assalto, preparando in qualche modo il loro stesso rogo.

Il video della cronaca dal vivo dell’incendio fatta da CNN

La nascita delle milizie
Per gran parte degli americani i fatti di Waco dimostrarono soltanto con quanta approssimazione e inefficienza erano capaci di operare le agenzie federali. L’ATF aveva organizzato quella che doveva essere una semplice perquisizione come se fosse un’operazione militare – con la colpa, forse ancora più grave, di non essere riuscita a portarla a termine in maniera efficiente e di averla trasformata in un massacro. L’FBI condusse l’assedio in maniera disastrosa e sembrò fare di tutto per spingere i davidiani alla disperazione e al suicidio. A peggiorare la posizione delle due agenzie, molti dettagli delle operazioni vennero tenuti nascosti e le indagini sull’assedio e la sua conclusione vennero ripetutamente ostacolate.

Per una parte degli americani – quelli alla Clive Bundy – Waco fu anche altro. Dal loro punto di vista, il governo federale aveva massacrato un gruppo di cittadini che volevano soltanto esercitare due loro diritti: possedere armi e praticare in isolamento la loro bizzarra religione. I fatti di Waco esasperarono i toni e le idee dell’estrema destra in tutto il paese. Il massacro di Waco e un altro simile incidente (per quanto meno grave) occorso a Ruby Ridge, insieme all’approvazione del Brady Bill, una legge molto blanda sul controllo delle armi, portarono alla nascita delle milizie.

Migliaia di americani appassionati di armi formarono centinaia di organizzazioni paramilitari. Le milizie in genere si costruirono intorno a un leader carismatico, avevano una struttura paramilitare e armi a volte illegali. Conducevano regolari esercitazioni e spesso si autofinanziavano, vendendo a loro volta armi o parti di armi. La loro ideologia era piuttosto varia: c’erano gruppi razzisti e altri che evitavano accuratamente di parlare di questioni razziali, gruppi di chiara ispirazione nazista e altri che si rifacevano all’esercito del sud confederato, quello schiavista sconfitto nella Guerra civile americana. Ma tutte le milizie avevano anche parecchio in comune: erano composte da uomini, bianchi, in genere provenienti dal sud e dall’ovest degli Stati Uniti. Con livelli di convinzione e paranoia che variavano da gruppo a gruppo, credevano che il governo federale fosse in mano a una cospirazione di sinistra con lo scopo di disarmare gli americani in modo da controllarli più facilmente: a dirla tutta, una versione esasperata di quello che pensa ancora oggi la lobby delle armi, la NRA, e una grandissima parte dei repubblicani aderenti ai Tea Party. Quello che li univa più di ogni altra cosa erano poche, fondamentali righe, contenute nella Costituzione americana:

«Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia ben organizzata, non si potrà violare il diritto dei cittadini di possedere e portare armi»

Si tratta del secondo emendamento della Costituzione americana, che garantisce a ogni cittadino il diritto di portare armi (ventisette parole che hanno avuto grandi e profonde conseguenze). Per le milizie nulla era più importante del diritto a portare armi e a difendersi dai nemici. Ora che gli inglesi non sembravano più avere intenzione di riconquistare le loro colonie e che gli indiani erano diventati gestori di casinò nelle riserve, il nemico era diventato il governo federale, lo stato centrale, Washington: quello che i miliziani chiamano “il tiranno” che desidera limitare le loro libertà individuali.

Gli Oath Keepers, la formazione più forte tra quelle che hanno protetto Bundy il 13 aprile, è un buon esempio di com’è fatta una milizia (anche se appartiene alla “seconda ondata” delle milizie, di cui parleremo tra poco). I Keepers sono stati fondati nel 2009 da un ex paracadutista dell’esercito americano, e ogni 19 aprile celebrano i martiri dell’assedio di Waco. Per entrare nei loro ranghi bisogna avere un passato nell’esercito o nella polizia. Secondo il loro leader: «La principale minaccia che gli Stati Uniti affrontano oggi non è il terrorismo, ma il nostro stesso governo federale».

C’è ovviamente qualcosa di molto americano nelle milizie, se negli Stati Uniti sono sorte decine di organizzazioni paramilitari di cui nel resto del mondo occidentale non si è mai trovata traccia, salvo che in scenari di guerre civili e stati falliti. In effetti, come ha scritto lo storico Pieter Spierenburg, una delle spiegazioni potrebbe essere che negli Stati Uniti la democrazia è arrivata troppo presto. In Europa lo Stato prima disarmò il popolo e si impossessò del monopolio dell’esercizio della violenza, e soltanto dopo questo passaggio il popolo si impadronì dello Stato. Negli Stati Uniti il popolo si impossessò dello Stato molto prima di essere disarmato, e del diritto ad armarsi e difendersi ha fatto uno dei cardini della sua cultura. Come ha scritto lo psicologo evoluzionista Steven Pinker, nel suo libro “Il declino della violenza“: «Gli americani non hanno mai dato la loro piena adesione a un contratto sociale che riservi al governo il monopolio dell’uso legittimo della forza».

Fino a non molti anni fa, in particolare nel sud e nell’ovest degli Stati Uniti (che è tuttora la patria delle milizie), l’uso legittimo della forza veniva esercitato dalla polizia ma anche da gruppi di vigilantes, ronde e squadracce mobilitate da sceriffi locali. In altre parole cittadini privati che, da soli, portavano avanti una giustizia privata nella loro comunità. Questi gruppi a volte venivano chiamati “posse”, e “Posse Comitatus” era il nome della prima milizia anti-governativa che ispirò il fiorire delle varie organizzazioni paramilitari negli anni Novanta. Era facile immaginare quale lettura potessero dare dei fatti di Waco le persone che credevano che le questioni locali dovessero essere risolte dalle comunità locali, e non dagli “uomini di Washington”. Nel 1996, nel momento di massima espansione del movimento delle milizie, negli Stati Uniti esistevano circa un migliaio di gruppi autodefinitisi “patrioti”, con circa 40-60 mila aderenti.

Oklahoma City
Mentre le milizie crescevano di numero e senza attirare granché l’attenzione dei media, gli americano videro, e molti di loro sentirono, un’altra delle conseguenze di Waco. Il 19 aprile del 1995, il giorno del secondo anniversario del massacro, alle 9.02 un furgone con a bordo duemila e duecento chili di esplosivo artigianale saltò in aria sotto l’Alfred P. Murrah Federal Building, nel centro di Oklahoma City. L’esplosione fu così incredibile e violenta da danneggiare 324 edifici nel raggio di sedici isolati e fu sentita fino a 90 km di distanza. Morirono 168 persone e altre seicento furono ferite. Fino all’11 settembre 2011 fu il più grave attentato compiuto sul suolo degli Stati Uniti (la storia completa è qui).

Oklahoma City

Nel giro di poche ore vennero arrestati entrambi i responsabili della strage: uno era Terry Nichols e l’altro venne individuato come la mente del piano, Timothy McVeigh, che all’epoca della strage aveva 27 anni. McVeigh aveva visitato due volte Waco durante i giorni dell’assedio e dichiarò che l’attentato di Oklahoma era una rappresaglia per il massacro dei davidiani. McVeigh e Nichols avevano entrambi un passato nell’esercito ed erano dei “survivalists” – persone che accumulano armi e provviste per prepararsi a un’Apocalisse che riporti il mondo a uno stadio primitivo in cui vige soltanto la legge del più forte. McVeigh sostenne che si era formato queste idee leggendo The Turners Diaries, quella che è stata definita “la bibbia dell’estrema destra americana”, un libro amato anche da molti membri delle milizie. Nel romanzo viene raccontata, tramite i diari del protagonista eponimo, la vittoria della rivoluzione nazista negli Stati Uniti che porta a sua volta allo sterminio di tutti i gay, gli ebrei e “i non-bianchi”.

McVeigh era un simpatizzante delle milizie, anche se le riteneva “troppo sedentarie” per i suoi gusti. La relazione di McVeigh con questi gruppi è stata per anni al centro di molte discussioni negli Stati Uniti. Fu la stampa ad associarlo per prima con il movimento delle milizie antigovernative, ma le indagini successive provarono che non c’erano legami formali tra lui e nessuna organizzazione. A quanto pare partecipò ad alcune riunioni della Milizia del Michigan e cercò di fondare una milizia in Arizona, senza riuscirci. Da parte loro le milizie si sono sempre dissociate da McVeigh e lo hanno accusato di essere una pedina – più o meno inconsapevole – nelle mani del governo. Secondo una delle teorie del complotto più diffuse, infatti, McVeigh sarebbe stato manipolato dal governo per “incastrare” le milizie e far approvare una legislazione più dura sul controllo di armi ed esplosivi. Teorie di questo genere sono molto ricorrenti negli Stati Uniti: dai recenti attentati alla maratona di Boston alle sparatorie di Fort Hood e Sandy Hook, non c’è strage e massacro che secondo l’estrema destra americana non sia in realtà un complotto organizzato dal governo per creare un pretesto allo scopo di disarmare gli americani.

La gran parte degli americani, però, non crede a teorie del genere: dopo gli attentati di Oklahoma le milizie subirono gran parte del biasimo per l’intera faccenda e cominciarono a declinare, spesso abbandonate dai loro stessi membri che sentivano come le cose stessero “diventando un po’ troppo serie”. L’FBI iniziò una serie di operazioni – organizzate molto meglio che a Waco – contro le milizie più estremiste e ottenne diversi successi incruenti che furono molto pubblicizzati dalla stampa. Alla metà degli anni 2000 le milizie si erano ridotte ad alcune centinaia, con poche migliaia di iscritti.

Le milizie oggi
Dal 2008, con l’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca, le milizie hanno conosciuto un periodo di rinascita (così come l’estrema destra in generale). Secondo il Southern Poverty Law Center, uno dei principali centri studi privati che si occupano di monitorare il fenomeno, nel 2012 c’erano circa 1.300 milizie in tutti gli Stati Uniti. Il SPLC ha detto che negli ultimi cinque anni c’è stata una “rinascita delle milizie”: secondo i loro calcoli tra il 2007 e il 2008 c’è stato un incremento del 755 per cento nel numero di organizzazioni che rientrano nella sua definizione di “milizia antigovernativa”. Nonostante questo aumento sia probabilmente imputabile alla riclassificazione in milizia di molti gruppi politici già esistenti, l’aumento è comunque notevole.

Uno dei fattori che hanno portato a questo incremento è certamente l’idea che Obama abbia in mente uno stato molto più presente nelle vite degli americani. Dalla riforma sanitaria – che obbliga per la prima volta tutti gli americani a stipulare una polizza assicurativa, fornendo contemporaneamente sussidi e sconti ai meno abbienti – alle proposte di mettere in atto un controllo più severo sulle armi, la presidenza Obama è stata dipinta come un governo “socialista” sia dai gruppi più estremi di miliziani sia da una parte consistente del partito repubblicano, che ha dato legittimità a queste posizioni.

Nonostante il loro numero si sia moltiplicato, l’FBI ritiene che gran parte delle milizie non sia oggi un pericolo grave per gli Stati Uniti. Negli ultimi anni ci sono stati arresti e altre operazioni contro le milizie (condotti sempre con molta efficienza e precisione: segno che Waco e Ruby Ridge hanno insegnato qualcosa). Nel 2010, per esempio, nove membri di una milizia di estremisti cristiani sono stati arrestati con l’accusa di complottare per uccidere agenti federali. Il gruppo si stava preparando alla “battaglia contro l’Anticristo” – che nella loro ideologia era rappresentato dagli agenti federali e dagli impiegati dell’IRS, l’agenzia delle entrate americana.

A parte questi casi estremi, le milizie antigovernative in genere vengono definite “passive” e non “attive”. In sostanza si tratta di gruppi che se provocati possono reagire con violenza, ma che non possiedono una vera determinazione a portare avanti obiettivi politici e solo in rarissimi casi complottano davvero per assassinare agenti del governo o attaccare i palazzi federali. Da questo punto di vista, la scelta del BML di ritirarsi durante lo scontro di Bunkerville il 13 aprile è stata probabilmente una scelta intelligente. Sono bastati pochi giorni senza la minaccia degli agenti federali perché il piccolo esercito di Bundy si sfaldasse, rivelandosi più pericoloso per sé stesso che per il governo federale.

Che fine farà l’esercito di Bundy
Tutto è cominciato pochi giorni dopo lo scontro, quando tra i miliziani che ancora presidiavano la fattoria di Bundy si è diffusa la voce che il governo aveva autorizzato un attacco con droni sul campo delle milizie. La notizia era ovviamente falsa, ma da l’idea del livello di paranoia a cui possono arrivare questi gruppi. La prospettiva di un attacco ha creato un clima agitato. Ci sono stati scontri tra il gruppo più forte, gli Oath Keepers, e gli altri miliziani. I Keepers, che suggerivano di abbandonare il campo, sono stati malmenati. Uno degli uomini di Bundy si è rivolto allora ai Keepers dicendo: «Siete fortunati che non vi spariamo alla schiena, perché è questo quello che succede ai disertori». Dal canto loro, i Keepers hanno dichiarato che tra gli uomini di Bundy c’erano parecchie “teste bacate”. Nel momento di massima tensione i due gruppi sono arrivati a puntarsi le armi addosso e, stando a quanto dicono gli stessi miliziani, solo per fortuna l’incidente si è risolto senza feriti.

Come avverte il blog War is Boring, è bene non esagerare il pericolo delle milizie, ma bisogna anche ricordare che si tratta di persone paranoiche, spesso instabili e – soprattutto – armate. Forse rappresentano solo un rischio relativo per il governo federale, almeno per ora, ma sono piuttosto pericolosi gli uni per gli altri. Come ha riassunto la vicenda Gawker:

Persone sane di mente e armate possono riuscire a trovare un accordo. Possono riuscirci anche degli squilibrati disarmati. Ma le controversie tra gente che è contemporaneamente armata e squilibrata hanno un modo strano di concludersi senza un accordo verbale.