Le cose che non dico ai giornalisti
Un ex funzionario del governo degli Stati Uniti ha spiegato quali sono le domande più comuni che non ottengono quasi mai risposta, e perché
di Cass R. Sunstein – Bloomberg View
La cena organizzata ogni anno dall’associazione dei giornalisti inviati alla Casa Bianca, a cui ho preso parte sabato scorso, è uno spettacolo sorprendente – una combinazione unica di giornalisti, funzionari di governo e celebrità. Al di là delle risate e della convivialità – è la cena in cui Obama fa un sacco di battute, per capirsi – si avverte però un disagio di fondo: molti giornalisti sono disturbati dal fatto che all’infuori di questa cena annuale non hanno grandi possibilità di parlare con e rivolgere domande a quegli stessi funzionari.
Tutti converranno sul fatto che, raccontando il funzionamento del governo, i giornalisti sono impegnati in un lavoro indispensabile. Poiché il loro lavoro è informare l’opinione pubblica e far sì che il governo risponda delle sue azioni, è più che comprensibile la loro disapprovazione quando le loro domande ottengono come risposta il silenzio, astrazioni burocratiche o discorsi fuorvianti. La Costituzione stessa riconosce non soltanto “la libertà di parola”, ma anche – e a parte – la “libertà di stampa”.
Ma cosa vogliono sapere dal governo i giornalisti inviati a Washington? Ecco una guida a quattro domande frequenti – mi baso in larga parte sulla mia esperienza di governo – che possono rendere i funzionari pubblici riluttanti a impegnarsi coi giornalisti o a fornirgli risposte utili.
1. “Potrebbe svelarci una certa importante decisione politica prima che questa decisione venga presa o annunciata?”
Inutile dire che occorre molto tempo per capire come gestire una questione complicata, che riguardi l’ambiente, il settore immobiliare, la sicurezza del territorio o altro. I giornalisti spesso vogliono una dritta in anticipo. E i funzionari devono solitamente schivare questa domanda. Potrebbero non sapere ancora qual è la decisione finale; spesso, le cose sono in continuo cambiamento. Se pure sanno dove stanno andando le cose, non spetta quasi mai a loro fare annunci prima del tempo.
2. “Potrebbe raccontarci cosa è successo in quella certa conversazione interna, compresi i conflitti interni tra consiglieri di alto livello?”
I corrispondenti da Washington vogliono spesso conoscere retroscena. Chi la pensa come? E su cosa? Chi è favorevole a un approccio forte riguardo ai matrimoni gay o riguardo ai cambiamenti climatici, e chi invece vuole andarci più cauto? Qual è l’intero spettro delle opinioni all’interno dell’amministrazione? Ci sono i buoni e i cattivi? Chi ha detto cosa? E a chi? Quando? Come?
La maggior parte dei funzionari non vuole rispondere a queste domande: preferiscono trattare le osservazioni confidenziali dei loro colleghi come osservazioni confidenziali, e si aspettano che i loro colleghi facciano altrettanto. Fare altrimento non sarebbe propriamente collegiale, e neppure corretto, certamente non prima che sia passato un sacco di tempo.
3. “Potrebbe dirci qualcosa di piccante sul presidente, o quantomeno su un funzionario di alto livello?”
A volte i giornalisti da Washington cercano di spingere i funzionari – ai microfoni o lontano dai microfoni – a parlar male dei loro capi o dei loro colleghi, o almeno a dire qualcosa di intrigante o controverso, che farebbe notizia. Di solito sono molto sottili.
Gran parte dei funzionari non gradiscono queste domande, per una ragione: perché sono persone leali. Se hanno obiezioni o preoccupazioni, preferiscono parlarne con i diretti interessati. È anche vero che ad alcuni di loro piace fare rivelazioni, a volte per secondi fini personali, e non occorre che i giornalisti li preghino più di tanto. Ma non è propriamente corretto neppure questo.
4. “Potrebbe rispondere ad alcune recenti insinuazioni così da fare chiarezza e capire chi ha ragione e chi dice la verità?”
Questa è una domanda frequente, e viene fatta quando i critici o i politici dell’opposizione sostengono che il governo abbia commesso errori o malefatte. È perfettamente legittimo, e forse anche necessario, per i corrispondenti da Washington cercare una risposta ufficiale a tali accuse. In alcuni casi, rispondere è appropriato. Ma se le insinuazioni sono infondate, i funzionari potrebbero non avere alcun interesse a rispondere, perché qualsiasi risposta – anche negare – potrebbe generare ulteriori discussioni e creare maggiore attenzione intorno alle insinuazioni [in Italia si dice spesso che una smentita è una notizia data due volte, ndr].
Ora: per la maggior parte del loro tempo, i funzionari pubblici sono piuttosto reticenti di fronte a queste domande. Soprattutto alle prime tre. I giornalisti sono spesso esasperati da questa ritrosia. Ma non dovrebbero esserlo, perché il silenzio può essere ragionevole o addirittura obbligatorio. La mancanza di trasparenza è una cosa; il rifiuto di violare la riservatezza è un’altra cosa.
È anche importante capire che i membri e i funzionari di un governo sono membri di una squadra. Al di fuori di circostanze speciali, non è appropriato per loro parlare alla stampa senza una qualche autorizzazione.
I giornalisti inviati a Washington, ovviamente, non vogliono solo “fare notizia”; stanno facendo il lavoro della democrazia. Quando vengono ostacolati, si sentono frustrati. È evidente. Ma l’interesse di quei corrispondenti non sempre coincide con quello del popolo americano.
Cass Robert Sunstein è stato amministratore dell’ufficio governativo “Information and Regulatory Affairs” – che si occupa, tra le altre cose, di rivedere le leggi e controllare che siano espresse in modo chiaro – e oggi insegna legge all’Università di Harvard.
© Bloomberg
Foto: Cass Robert Sunstein (AP Photo)