E la riforma del Senato?
Prosegue lentamente e la questione è sempre più pasticciata (ed è ritornato anche Roberto Calderoli)
Martedì 6 maggio il testo base del governo sulla riforma del Senato ha ottenuto l’approvazione da parte della Commissione affari costituzionali del Senato. Si tratta del primo passaggio necessario a portare la riforma al suo primo voto in Senato che, secondo quanto ha detto il presidente del Consiglio Matteo Renzi, dovrebbe avvenire entro il 10 giugno. Nei prossimi giorni la Commissione dovrà comunque continuare a discutere il testo e ci sarà tempo fino al 23 maggio per presentare gli emendamenti. Il passaggio non è stato facile, anche a causa di diversi pasticci e incidenti.
La riforma del Senato è uno dei principali provvedimenti promessi da Renzi, che ha minacciato diverse volte di dimettersi se la riforma non sarà approvata. Il testo approvato dalla Commissione (e su cui ricordiamo, si continuerà a discutere) prevede di trasformare il Senato in una “Camera delle autonomie” non elettiva, dove siederanno sindaci, amministratori locali e personalità della società civile nominate dal Presidente della Repubblica. Il nuovo Senato non voterà la fiducia al governo e il suo voto sarà necessario soltanto per l’approvazione di alcune leggi.
Dove eravamo rimasti
Tre settimane fa sembrava che ci fosse un accordo tra Renzi e Silvio Berlusconi per avere un testo comune sulla riforma entro la fine di aprile e l’approvazione della Commissione entro il 25 maggio, cioè prima delle elezioni europee. Le cose però non sono andate in maniera proprio lineare. Il 24 aprile, durante un intervento a Porta a Porta, Berlusconi è sembrato tornare indietro su alcuni aspetti dell’accordo con Renzi e ha negato di essersi impegnato a votare una legge che renda il Senato non elettivo. Nelle ultime settimane, Berlusconi e altri esponenti di Forza Italia hanno detto tutto e il contrario di tutto, sostenendo prima di appoggiare il programma di riforme di Renzi e poi negando o condizionando il loro appoggio a qualcosa d’altro. Viste queste difficoltà, Renzi ha spostato il termine del primo voto sul testo al 10 giugno e il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi ha detto che il governo non ha nessun problema a presentare le riforme “dopo le elezioni europee”.
Nel frattempo è bene capire “dov’è” la riforma del Senato. Intanto si tratta di un Disegno di legge costituzionale presentato dal governo, quindi di un testo preparato dai tecnici del ministero e creato secondo le indicazioni del governo. Nelle ultime settimane – mentre avvenivano queste discussioni e giravolte – il testo si trovava alla Commissione affari costituzionali del Senato, dove deve essere approvato prima di passare dall’aula del Senato (un piccolo ripasso: essendo il DDL di cui stiamo parlando una legge costituzionale, se non viene approvata per due volte – in doppia lettura, come si dice in gergo – almeno dai due terzi del Senato e poi della Camera, dovrà essere sottoposta a un referendum confermativo senza quorum: basta cioè che il cinquanta per cento più uno dei votanti voti “no” e la legge sarà abrogata).
Insieme al testo del governo erano stati presentati anche un’altra cinquantina di testi di riforma: il più noto è quello presentato dal senatore del PD Vannino Chiti, appoggiato da molti esponenti della minoranza del PD. Tra tutti questi testi, la Commissione doveva sceglierne uno solo, da utilizzare come base per le successive discussioni.
Il voto in Commissione
Martedì 6 maggio la Commissione affari costituzionali ha approvato il testo del governo come base per proseguire la discussione. Hanno votato a favore quasi tutti gli esponenti del PD, di Forza Italia e dei Popolari. Qui però sono cominciati i pasticci, perché poche ore prima la Commissione aveva anche approvato un Ordine del giorno (ODG, vedremo tra poco che cos’è) del senatore della Lega Nord Roberto Calderoli: questo ODG stabilisce che quando le Camere discuteranno la riforma del Senato dovranno fare tutta una serie di cose in totale contrasto con il DDL che la stessa commissione aveva votato poco prima.
Ad esempio, l’ODG stabilisce che i senatori dovranno essere eletti, ma stabilisce anche un sacco di altre cose – elementi che erano già presenti nella riforma Calderoli del 2006 che venne bocciata da un referendum popolare. Ad esempio, secondo l’ODG presentato da Calderoli, lo stato potrà devolvere competenze anche a “più regioni”, un formulazione che ricorda la “macroregione” di cui parlano spesso gli esponenti della Lega Nord. Stabilisce inoltre che le tasse pagate nelle singole regioni dovranno rimanere nelle regioni in cui sono state riscosse. In altre parole, l’ODG di Calderoli prevede tutta un’altra riforma della Costituzione.
La faccenda più bizzarra è stata che l’ODG è stato votato non solo dai rappresentati della minoranza (SEL e Movimento 5 Stelle), ma anche da parte degli esponenti di Forza Italia e dal senatore Mario Mauro dei Popolari (poche ore dopo, avrebbero tutti votato anche il testo del governo, che come abbiamo detto è del tutto diverso). L’ODG è stato approvato anche grazie all’assenza del senatore del PD Corradino Mineo (molto critico nei confronti del testo del governo) che ha poi detto di “non essere stato chiamato a votare”.
Ma la storia non è finita. Dopo il voto in Commissione il punto è diventato: “che farsene dell’ODG Calderoli?”. La Commissione è infatti riuscita ad approvare due testi completamente diversi. Calderoli ha chiesto alla Giunta per il regolamento del Senato che il testo del governo venga semplicemente cancellato in quanto è di fatto “superato” dal suo ODG. Il governo sostiene invece che l’ODG non è vincolante e che il testo base rimane quello del governo. La mozione di Calderoli è stata appoggiata da tre senatori di Forza Italia (un partito che, come detto, ha votato anche il testo del governo). Le firme alla richiesta di Calderoli sono state successivamente ritirate. Su questo tema la Giunta si riunirà martedì prossimo per decidere cosa fare.
E quindi?
Tutte queste discussioni, in realtà, non hanno ritardato più di tanto il procedere della riforma, anche se lasciano intuire che portare avanti la riforma nelle prossime settimane sarà piuttosto complesso. E già alla fine di aprile Renzi aveva modificato la tabella di marcia, spostando il termine per il primo voto in Senato dal 25 maggio al 10 giugno.