Che fare con chi trolla nei commenti online?
Praticamente tutti i siti di news stanno cercando soluzioni: c'è chi impone la registrazione via Facebook e chi assume 14 persone solo per quello
di Paul Farhi - Washington Post
Attenti, troll. I siti di news stanno diventando sempre più resistenti ai vostri commenti aggressivi, rudi e talvolta anche volgari. Di fronte ai lettori anonimi che non riescono a resistere alla tentazione di postare commenti sgradevoli sotto gli articoli online, da tempo alcuni siti di news adottano misure per arginare la loro ignoranza verbale. E alcuni di loro, stanchi del caos che si crea quando la libertà di espressione prende una piega un po’ troppo libera, per così dire, stanno chiudendo del tutto i commenti.
I commenti volgari ed eccessivi che superano il limite e che finiscono per ricadere nella vecchia definizione di “hate speech”, istigazione all’odio, hanno afflitto i siti di news praticamente da quando sono nati. Sotto un articolo che parla di una questione razziale, per esempio, si troveranno spesso dei commenti razzisti fatti da persone che si nascondono dietro a nomi inventati, oltre che dietro allo schermo. Alcuni personaggi molto famosi sembrano poi attrarre una quota sproporzionata di lettori volgari e sopra le righe. D’altra parte ai siti di news piacciono i commenti dei lettori, perché sono uno strumento per sviluppare fedeltà e interazione. Inoltre, i commenti tengono i lettori su quel sito per più tempo, con un meccanismo che si definisce “engagement” (in italiano “coinvolgimento”) e che condiziona anche le decisioni degli inserzionisti.
Ma i commenti dei lettori vanno molto spesso talmente oltre, in particolare negli articoli che raccontano cronache di crimini e reati, che il mese scorso il Chicago Sun-Times ha deciso di chiuderli temporaneamente. Il sito della rivista Popular Science ha chiuso i commenti dopo che diversi troll «hanno reso qualsiasi discussione costruttiva impossibile».
E ci sono anche apprezzate e moderne testate, beniamini dei new media e del nuovo giornalismo online, che non permettono del tutto agli utenti di commentare. Per esempio Vox.com, un sito di news che “spiega le cose”, è andato online il mese scorso senza possibilità per i lettori di commentare. Melissa Bell, cofondatrice di Vox, ha spiegato in un post il motivo per cui il suo giornale ha deciso di non aprire i commenti: «Abbiamo visto siti aprire i commenti, e quella che doveva essere una comunità di persone si è trasformata in una serie di polemiche e insulti».
Per affrontare la bruttezza dei commenti volgari e aggressivi, i siti di news hanno provato tecniche molto diverse. Il Washington Post, per esempio, permette ai suoi lettori di segnalare i troll: una volta fatta la segnalazione, i commenti di quell’utente finiscono per essere controllati uno a uno da uno staff apposito che valuta se cancellare quelli inopportuni. Il sito del Washington Post consente anche di usare il tasto “ignora”, che permette a un utente di scegliere di non vedere nessuno dei commenti postati da un altro particolare utente. Quando sembra che le cose stiano per andare fuori controllo, il giornale semplicemente chiude i commenti: succede per esempio con gli articoli su Michelle Obama, su Chelsea Manning e sulle cronache di morti o feriti gravi, come negli articoli sulla sparatoria ai Navy Yard di Washington a settembre.
Pochi siti di news possono eguagliare le risorse che investe il New York Times sui commenti: ci si dedicano infatti 14 persone, di cui 7 a tempo pieno. Sasha Koren, vicedirettore della sezione delle notizie interattive, ha spiegato che i moderatori leggono i commenti uno a uno prima di decidere se approvarli, e la scelta viene fatta sulla base di criteri sviluppati negli ultimi sette anni. A differenza di molti altri siti, che aprono i commenti a decine di articoli ogni giorno, il New York Times apre i commenti su una media di 18 articoli al giorno. L’idea, ha aggiunto Korem, è «minimizzare l’incivilità e aumentare i commenti che includono osservazioni e commenti personali con una certa sostanza… Siamo fortunati ad avere un ampio numero di lettori che regolarmente condivide con noi e con gli altri idee, esperienze e conoscenze».
I trenta quotidiani che appartengono a McClatchy Co., società editoriale statunitense con sede a Sacramento, California, hanno affrontato il problema in modo diverso. Lo scorso anno, 29 di questi quotidiani – tra questi il Miami Herald, il Kansas City Star e il Charlotte Observer – hanno cominciato a richiedere ai loro commentatori di registrarsi tramite il loro account Facebook. Adesso, come funziona con le tradizionali lettere al direttore, i commenti sono riconducibili il più delle volte a nomi precisi, e anche a un indirizzo e a una professione. Anders Gyllenhaal, il capo di McClatchy a Washington, ha detto che da quando è richiesta la registrazione via Facebook quei commentatori che vanno da un sito all’altro postando una lunga serie di post volgari o aggressivi si sono spostati su altri siti.
Un sistema simile, adottato dallo Huffington Post a dicembre, si è rivelato piuttosto controverso. Un articolo che annunciava il passaggio da un sistema che permetteva di commentare anonimamente a un altro che costringeva gli utenti a registrarsi via Facebook è stato commentato quasi 6mila volte e moltissimi utenti hanno reagito negativamente. Tim McDonald dello Huffington Post ha detto: «Ad alcune persone è sembrato che volessimo limitare la loro libertà di espressione», ma ha aggiunto che da quando è avvenuto il cambio nel sistema dei commenti le conversazioni sono diventate molto più civili e i troll sono diminuiti.
La più grande preoccupazione per i direttori dei siti di news è legata alle conseguenze di queste misure restrittive sui commenti e al fatto che possano in qualche modo ridurre il traffico sui loro siti, e di conseguenza gli introiti pubblicitari. Questo finora però non è avvenuto, hanno spiegato sia Gyllenhaal di McClatchy che Tim McDonald dello Huffington Post. Lo Huffington Post è tra i siti più commentati al mondo: da dicembre ha attirato circa 6 milioni di nuovi commenti, ha detto McDonald, che corrisponde al 2 per cento di tutti i commenti pubblicati sul sito da quando è stato fondato nel 2005.
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