Perché oggi sciopera l’Unità
I giornalisti criticano il disinteresse della proprietà e le nuove richieste di tagli, e chiedono sostegno al PD
Giovedì 1 maggio il comitato di redazione dell’Unità, lo storico giornale per anni di proprietà del Partito Comunista Italiano e ora – dopo varie vicissitudini e passaggi di proprietà – controllato dall’imprenditore Matteo Fago, ha indetto per oggi una giornata di sciopero per segnalare i numerosi problemi che sta affrontando il giornale: fra questi, scrive il cdr, una cattiva distribuzione nelle edicole, le disorganizzate e povere celebrazioni per i 90 anni dalla fondazione e la necessità di rifare il sito internet. Alla fine della lettera, in particolare, il cdr chiede alla dirigenza del Partito Democratico – definito «storicamente vicino alla testata», e soprattutto titolare di moltissimi abbonamenti – di appoggiare «le nostre legittime richieste». Il PD ha fatto sapere che intende farsi “carico di aiutare e favorire l’individuazione di una soluzione urgente e solida che consenta all’Unità di continuare a svolgere il proprio ruolo insostituibile nel panorama dell’informazione italiana”.
Oggi è la festa del lavoro dell’anno in cui l’Unità festeggia i suoi 90 anni. In questa occasione i giornalisti vogliono rivolgersi in primo luogo ai lettori parlando stavolta come lavoratori, nella convinzione che esiste oggi un caso Unità da rendere pubblico e di valenza politica.
Siamo dipendenti di un’azienda che continua a inanellare assenze, comportamenti irrispettosi della rappresentanza sindacale, decisioni addirittura dannose per la testata. Per questo annunciamo una giornata di sciopero per venerdì 2 maggio. Una scelta difficile sofferta, ma inevitabile.
Ecco un resoconto dei primi mesi del 2014. Scoppia il caso Ioannucci, ex senatrice di Forza Italia, entrata nell’azionariato della testata fondata da Antonio Gramsci. I giornalisti protestano, scioperano per difendere l’identità e la storia del giornale, ma non accade nulla.
Ancora: iniziano i festeggiamenti del 90esimo, ma gli unici a organizzare una iniziativa pubblica sono i lavoratori. L’azienda non valuta bene la portata dell’appuntamento, si limita all’edizione del primo di quattro supplementi, salvo poi lasciare sguarnite le edicole. Il tutto dopo aver tagliato negli anni la distribuzione del giornale in intere regioni, nonostante le proteste del sindacato. Anche qui, la storia del giornale viene derubricata in farsa. Se esistesse l’articolo 18 per gli amministratori, ricorrerebbe la fattispecie della giusta causa. Ma non accade nulla.
Continuiamo a ricevere segnalazioni di edicolanti che non ricevono il giornale. Si decide di aumentare il prezzo del quotidiano il sabato proprio nel mezzo della crisi, i giornalisti chiedono chiarimenti sulla destinazione di questo sovrapprezzo (andrà all’Unità o al supplemento Left?), ma non ottengono risposte.
Sempre in febbraio si promette il lancio di un nuovo sito, che ancora non si vede mentre altre testate avviano piani di rilancio per fronteggiare la crisi del settore. Intanto il sistema editoriale continua a mostrare parecchi limiti. Ci dicono che il problema è il gestore, cioè Tiscali (di proprietà dell’ex azionista unico Renato Soru). I giornalisti chiedono di modificare il contratto, ma non accade nulla.
Oggi le relazioni sindacali sono sospese (come potrebbe essere altrimenti, visti tali comportamenti?): in contatti informali nei mesi passati si sono promessi futuribili rilanci, promesse di discontinuità. Oggi sono scomparse anche le promesse. Dopo le richieste del sindacato, ci si invita – in modi a dir poco rocamboleschi, dopo tre settimane di silenzio – a un incontro di ricognizione annunciando tagli, tagli, tagli (già in atto con un contratto di solidarietà, peraltro seguito a vari anni di stati di crisi).
Il tempi delle promesse virtuali e dei tagli reali è finito. Questa azienda mette a rischio una testata storica della sinistra e dell’informazione italiana. Questa redazione non si è mai sottratta a pesanti piani di ristrutturazione. Le responsabilità di una gestione avventata delle risorse vanno individuate altrove. Per quanto ci riguarda d’ora in poi apriremo tavoli solo con interlocutori credibili, su basi concrete di rilancio. Abbiamo aspettato anche troppo. Per questo chiediamo alla politica, a quel partito, il Pd, che storicamente è vicino alla testata, di sostenerci nelle nostre legittime richieste.
Il cdr
foto: Lapresse/Robero Monaldo