Contro i Google Glass
Una giornalista del Washington Post li ha provati per sette giorni: ne sono nate situazioni imbarazzanti («stai filmando, tipo, adesso?») e varie scomodità
di Hayley Tsukayama – Washington Post
È mercoledì sera e la gente si gira a guardarmi. Le persone rallentano mentre mi passano accanto sul marciapiede. Sento i commenti e il parlottare quando entro in una stanza. Gli sconosciuti mi guardano, a volte mi fermano per strada.
Per quale motivo? Perché indosso dei Google Glass. E io odio farlo.
Non mi piace sentirmi in questo modo: da tre anni scrivo di tecnologia per il Washington Post e normalmente la tecnologia mi piace. In più, mi piace il tipo di tecnologia che i Google Glass dovrebbe offrire: un aggeggio che ti permette di leggere le email, i messaggi e altre notifiche attraverso un piccolo schermo posizionato appena sopra il tuo occhio destro.
All’inizio della mia settimana di prova con i Google Glass ero pronta per la classica recensione di un prodotto con ancora diversi bug. I Glass, dopotutto, sono un prodotto ancora in fase di test ed elaborazione: pochi esemplari sono stati distribuiti a giornalisti, programmatori e a una manciata di persone “normali” disposte a spendere 1500 dollari per un prodotto mai testato. Mi aspettavo continui mal di testa per dover costantemente mettere a fuoco il piccolo schermo dei Google Glass; e mi ero già preparata a dover parlare ad alta voce, anche in mezzo ad altre persone in un luogo pubblico, per dare comandi agli occhiali.
Quello che non mi aspettavo era tutta l’attenzione che ho ricevuto io. Indossare i Glass mi ha istantaneamente reso parte di un gruppo molto ristretto di persone, e questo significa ricevere un sacco di attenzioni. La maggior parte erano sguardi di persone genuinamente incuriosite dal vedere i Google Glass, ma la cosa mi dava comunque fastidio. L’idea dell’inferno, per una timida come me, è proprio questa: indossare qualcosa che attragga l’attenzione degli sconosciuti per strada.
Ho sentito tutti i tipi di lamentele sulle violazioni della privacy causate dai Google Glass, ma non mi sarei mai aspettata che la privacy più violata sarebbe stata la mia, che gli occhiali li indossavo. Questo tipo di problemi, naturalmente, dovrebbe farsi meno pressante man mano che i Google Glass diventeranno oggetti più comuni e quando Ray-ban, Oakley e altri produttori di occhiali cominceranno a produrre modelli di Google Glass un pochino più carini. Ma per ora, chiunque decida di comprare i Google Glass, deve essere pronto a diventare tema di conversazione e a rispondere alle domande degli sconosciuti. Indossarli in strada equivale a indossare una maglietta con la scritta “PARLAMI!”. Inoltre, viste le storie che si sentono di rapine e litigi causati dai Google Glass, ero piuttosto preoccupata dal doverli usare in strada.
Alla fine, tuttavia, li ho provati. Li ho indossati quasi ovunque: al lavoro, al negozio sotto casa, con gli amici al bar e anche alle prove del coro. Ecco un campionario delle cose che mi sono state dette o che ho semplicemente sentito durante la mia settimana con i Google Glass:
– «Guarda, ha i Google Glass!»
– «Ehi, ma quelli sono davvero Google Glass?»
– «Stai registrando? Stai registrando, tipo, adesso?»
– «Ti fanno sembrare ridicola».
E la mia preferita, detta con tono commiserativo: “Oh, povera Hayley”.
A parte i miei personali problemi di privacy, ho trovato i Google Glass un aggeggio interessante ma con ancora un sacco di problemi. Dopo oltre due anni di sviluppo, mi ha davvero sorpreso il numero di problemi ancora irrisolti.
Dal lato hardware i problemi andavano dal surriscaldamento degli occhiali dopo solo dieci minuti di utilizzo alla necessità di ricaricarli diverse volte al giorno. I sensori degli occhiali, inoltre, non sono particolarmente precisi e sensibili; in diverse occasioni ho dovuto ripetere i comandi che avevo dato toccando l’asticella con le dita o scuotendo la mia testa per risvegliarli dallo stand-by (e questa era di solito la cosa più imbarazzante: immaginate di vedere qualcuno in strada agitare la testa su e giù, senza un apparente motivo). Almeno una decina di volte, infine, ho dovuto resettare i Google Glass perché non rispondevano ai comandi o non si collegavano al mio cellulare, anche in assenza di apparenti problemi di connessione.
Gli occhiali funzionano meglio con i telefoni Android piuttosto che con gli iPhone, se non altro perché l’integrazione tra i due sistemi è molto più armoniosa. Per quanto riguarda i software, gli sviluppatori sono stati abbastanza saggi da progettare le app per i Google Glass affinché non ti bombardino con decine di notifiche al minuto. Le app di Facebook, Twitter e delle altre grandi società sono tutte ben fatte: quella di CNN, ad esempio, ti permette di leggere i titoli delle storie più importanti o di scorrere i contenuti del sito per categoria, vedere video e gallerie fotografiche.
Ci sono cose che mancano e sarebbe bello avere, però. Per esempio un’app per le fotografie che ti permetta di sfruttare meglio le potenzialità di una macchina fotografica integrata con gli occhiali.
Le prestazioni dell’iPhone con i Google Glass stanno comunque migliorando. Google ha aggiunto agli occhiali la possibilità di leggere i messaggi e le notifiche dell’iPhone proprio nella settimana in cui stavo provando gli occhiali. Alcune delle funzioni, invece, mi hanno lasciato proprio a bocca aperta. Per esempio la possibilità di vedere su un telefono quello che stavo registrando con la telecamera dei Google Glass: una cosa che non avrei mai creduto essere così utile.
Nonostante tutto, per quanto duramente abbia provato a rendere gli occhiali parte della mia vita quotidiana, non sono mai stata completamente a mio agio con quel piccolo schermo davanti agli occhi, appena fuori dal mio campo visivo. Nessuno ha mai dubitato della mia buona fede nel non filmare nulla senza il loro consenso, ma quasi tutti quelli che mi hanno fatto delle domande sui Google Glass mi hanno chiesto se stavo registrando.
Quello che mi ha colpito di più, comunque, è stato vedermi “da fuori” quando ho lasciato che altre persone indossassero gli occhiali per qualche minuto: sembrava di parlare con una persona non troppo entusiasta di conversare con te, e che si guarda intorno con impazienza in cerca di una scusa per allontanarsi. Pensate al fastidio che si prova quando cercate di dire qualcosa a uno che ascolta musica con gli auricolari e non vi risponde: ecco, moltiplicate quel fastidio per 10.
E tutte queste cose non sono marginali, e minano invece l’idea che sta alla base dei Google Glass: evitare il fastidio di dover continuamente tirare fuori il telefono di tasca per controllarlo quando state parlando con qualcuno o facendo qualcos’altro.
Dopo i primi giorni in cui ho provato a usare tutte le funzioni possibili degli occhiali, ho smesso di sforzarmi e ho cominciato a usarli senza pensarci troppo, ma solo in situazioni nelle quali dovevo controllare qualcosa senza usare le mani o quando non stavo direttamente parlando con qualcun altro. In quei casi i Google Glass hanno sempre funzionato alla perfezione. Mi sono arrivate le informazioni che mi servivano – non troppe né troppo poche – e ho trovato utile avere uno schermo aggiuntivo per il mio telefono.
Ma questo significa anche che molte volte gli occhiali me li sono tirati sui capelli, come si fa con gli occhiali da sole quando si entra in una stanza, o li ho messi in borsa, così che non dirottassero tutte le mie conversazioni.
E quindi: comprerei dei Google Glass? No, per ora no. Specialmente non per 1500 dollari. Ai Google Glass serve ancora un sacco di lavoro prima che siano davvero pronti per il mondo. E al mondo serve ancora di un po’ di tempo prima che sia pronto per i Google Glass.
©Washington Post 2014