L’inarrestabile Scarlett Johansson
Il critico cinematografico del New Yorker racconta la principale rivale di Matthew McConaughey nell'ascesa alla popolarità globale, e il suo prossimo inquietante film
Anthony Lane è un rispettato critico cinematografico britannico, lavora per il New Yorker e qualche settimana fa ha dedicato un lunghissimo articolo a quella che secondo lui è l’attrice del momento – la definisce unstoppable, inarrestabile – sebbene quest’attrice non venga né da vittorie di premi particolarmente importanti né abbia in uscita film particolarmente attesi (a parte un film di supereroi, nemmeno eccezionale). Ciononostante, scrive Lane, questi sono “tempi entusiasmanti per Scarlett Johansson”.
Anthony Lane comincia citando quattro film recenti con Scarlett Johansson, ognuno con dentro qualcosa: Don Jon, una specie di divertente commedia romantica tra truzzi, il primo film da regista di Joseph Gordon Lewitt; Her, il pluri-premiato film di Spike Jonze di cui Scarlett Johannson è co-protagonista senza vedersi mai; il nuovo Capitan America e soprattutto Under the Skin, piccolo film del regista britannico Jonathan Glazer, che uscirà negli Stati Uniti a luglio e per il quale non è ancora prevista un’uscita italiana. Under the Skin «non è simile a niente che gli appassionati di Scarlett Johannson, ma anche tutti gli altri, abbiano mai visto prima». È indubbiamente il suo miglior film fino a questo momento, scrive Lane.
Cos’è Under the Skin
Under the Skin è una cosa a metà tra un film di fantascienza e un film horror, il tutto girato un po’ come un documentario. Racconta la storia di una donna senza nome, senza lavoro, senza famiglia, senza indirizzo: senza un passato. Nella gran parte del film si vede questa donna – Johansson, ovviamente – guidare in giro per Glasgow un furgone bianco. Va in giro in cerca di uomini, accosta, chiede delle informazioni e poi offre loro un passaggio. Alcuni rifiutano; altri accettano, e vengono uccisi.
Le scene dentro il furgone sono girate con delle telecamere nascoste, e alcuni degli uomini che appaiono nel film non sapevano nemmeno di far parte di un film. E non riconoscevano Scarlett Johansson, che in questo film ha i capelli neri (ma è più probabile che ne abbiate sentito parlare per via delle scene di nudo integrale, le prime della sua carriera). Dopo un po’ si scopre che la donna è una specie di alieno, arrivata sulla Terra semplicemente per sfamarsi – il resto si scopre guardando il film. «L’ho visto due volte, voglio vederlo di nuovo, eppure l’idea mi riempie di terrore», scrive Lane.
«Non c’è modo di mettersi al riparo»
Anthony Lane paragona la popolarità di Scarlett Johansson a quella di Matthew McConaughey, «uno dei pochi rivali di Scarlett Johansson, in questo momento, nella lotta per la popolarità globale». E poi non ha ancora compiuto trent’anni. E poi è incinta. «Non c’è modo di mettersi al riparo da Johansson, e questo va benissimo ai suoi innumerevoli fan, sia donne che uomini. Non vogliono mettersi al riparo».
Lane descrive i ruoli di Scarlett Johansson praticamente in tutti i film in cui ha partecipato, e in certi passaggi il suo articolo tradisce una certa infatuazione. In una scena di Vicky Cristina Barcelona, il film di Woody Allen del 2008, Scarlett Johansson sembrava «dorata, fatta di champagne»; in Lost in Translation, il film di Sofia Coppola del 2003, era «impossibile girarsi dall’altra parte» quando appariva. Persino in La mia vita è uno zoo, il film di Cameron Crowe con Matt Damon del 2011, in cui Scarlett Johannson interpreta quanto di più lontano ci sia dal prototipo della femme fatale – l’impiegata di uno zoo – c’è una scena in cui è irresistibile: quando Matt Damon, che nel film è il suo superiore sul lavoro, le dice goffamente «Non offenderti se non cerco di uscire con te», lei ribatte: «Mi offenderebbe. Se volessi essere baciata da te, non avresti speranze». Su YouTube c’è un provino girato quando aveva nove anni, e Lane scrive che «la sua consapevolezza è spaventosa: sembra una bambina recitare la parte di una bambina».
Il caso Sodastream
Un’altra ragione per cui Scarlett Johannson è stata sui giornali negli ultimi mesi non ha a che fare col cinema ma con un contratto pubblicitario, Israele e la Palestina. Da gennaio Johansson è testimonial di SodaStream, un’azienda israeliana che produce principalmente una specie di elettrodomestico, chiamato “gasatore”, che permette di ottenere bibite gassate unendo acqua minerale ad alcune miscele dai vari gusti: da tempo l’azienda è molto criticata poiché possiede una grossa fabbrica a Ma’ale Adumim, in Cisgiordania, in un territorio occupato militarmente da Israele e rivendicato dalla Palestina. Scarlett Johansson era da diversi anni ambasciatrice per Oxfam, una nota federazione di 17 associazioni umanitarie non governative dichiaratamente a favore della causa palestinese: dopo settimane di polemiche e critiche, Johannson ha lasciato l’incarico in Oxfam dicendo che SodaStream «si occupa anche di costruire un ponte di pace fra Israele e Palestina, incoraggiando persone israeliane e palestinesi a lavorare l’una a fianco dell’altra e a ricevere gli stessi diritti e lo stesso stipendio». Ad Anthony Lane, Johannson ha detto di essersi trovata «in una storia molto più grande di me e di qualsiasi altra cosa in cui potessi finire in mezzo». Ma l’effetto di quel caso, scrive il New Yorker, è stato portare ulteriormente Johannsson all’attenzione dell’opinione pubblica e far parlare di sé in quel contesto di politica e diritti umani nel quale molti attori cercano di farsi notare.
La voce
Nel 2007 Scarlett Johansson ha fatto un disco. Non se lo ricordano in molti, anche perché non andò benissimo: era fatto soprattutto di cover di Tom Waits, e la scelta è più sensata di quanto possa sembrare vista la particolarità della sua voce. «Come Lauren Bacall, Veronica Lake e Jessica Rabbit prima di lei», scrive Anthony Lane, «Scarlett Johannson sembra parlarci attraverso un flusso di fumo invisibile, e la sua interpretazione di Samantha, la voce di Her, mostra quanto il suo corpo e la sua immagine sopravvivano dentro la sua voce».