È giusto togliere ai giornali i ricavi dagli annunci degli enti pubblici?
Secondo il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno no, e lo ha scritto, riscritto e riscritto ancora, dopo l'annuncio di Matteo Renzi della settimana scorsa
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi venerdì scorso ha annunciato tra le altre cose in una conferenza stampa l’intenzione di abolire l’obbligo di pubblicazione sui quotidiani degli avvisi pubblici di enti locali e amministrazioni dello Stato – bandi, concorsi, comunicazioni diverse – spiegando che questo potrà dare allo Stato un risparmio annuale di 100 milioni di euro, che la misura è diventata anacronistica perché le stesse comunicazioni possono essere molto più estesamente diffuse via Internet, e che i giornali devono accettare la fine di quella fonte di ricavo anche perché il governo non ha intenzione di intervenire su altri finanziamenti all’editoria previsti dalla legge.
La decisione è stata accolta con preoccupazione comprensibile da editori e responsabili di giornali: preoccupazione in molti casi non espressa pubblicamente, per consapevolezza che l’annuncio di Renzi ha una sua sensatezza. Ma in qualche caso invece è stata contestata, per esempio assai vivacemente dal direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, importante quotidiano di Bari. Il quale ha immediatamente pubblicato in prima pagina un intenso attacco alla decisione del governo.
Togliere ai giornali l’annuncio di gare e aste significa condannarli a morte certa e immediata. Significa smantellare la funzione chiave di una società democratica: il controllo del potere politico-burocratico-economico-militare da parte dell’opinione pubblica. Renzi potrebbe replicare: ora c’è Internet. Non scherziamo. Internet è una grande invenzione, ma Internet sta all’informazione come una pornostar sta alla verginità. Internet è una cloaca, una discarica, uno sfogatoio di umori e sentimenti in nome di quella democrazia diretta che costituisce l’anticamera del totalitarismo.
E lunedì, un altro editoriale sempre del direttore De Tomaso.
Affidare a internet l’esclusiva in materia di annunci giudiziari, oltre a restringere in modo pazzesco la platea dei possibili interessati, significa anche o soprattutto concedere a qualcuno il potere di stabilire la durata della sopravvivenza di un annuncio giudiziario: 100 giorni, 10 giorni, o 10 ore? Prevedibile, a questo punto, la tentazione, per affari particolarmente lucrosi e fascinosi, di ridurre al minimo l’esposizione della notizia sul web, per riservarla a un ristretto club di selezionati, predestinati, o amici degli amici. Che facciamo? Vogliamo che il delicato mondo delle aste torni alle pratiche esoteriche del passato (quando gli annunci non si pubblicavano ancora sui giornali), e si giocava a nascondere le informazioni specifiche che stavano a cuore a certi acquirenti potenti e prepotenti? Vogliamo che la corruzione e le prevaricazioni rispuntino sovrane in questo specifico recinto di transazioni?
Martedì al direttore ha scritto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega all’Editoria, Luca Lotti.
È giusto, in sintesi, che il vincitore di una gara pubblica debba finanziare l’editoria? A me non pare.
Per l’editoria esistono invece fondi e misure specifici, alcuni di questi sono destinati a cooperative editoriali (circa 50 mln per oltre 200 beneficiari) e una parte limitata destinata a «quotidiani di movimenti politici» (meno di 8 mln nel 2013). Esistono, inoltre, agevolazioni fiscali come lo sconto sull’IVA e, da quest’anno, è istituito un fondo straordinario di 120 mln di euro (valido per tre anni) che avrà il compito di sostenere direttamente l’editoria, evitando i soliti interventi a pioggia, per finanziare veri progetti editoriali, capaci di riorganizzare le imprese e puntare su innovazione e nuove professioni.
In poche parole, quella che il Governo lancia ai giornali come La Gazzetta del Mezzogiorno e a tutte le imprese editoriali è la sfida dell’innovazione piuttosto che quella dell’assistenza.
De Tomaso non condivide, come mostra nella sua nuova risposta a Lotti.
I giornali vivono un momento assai difficile. Hanno la necessità e il dovere di adattarsi alle nuove tecnologie. Proprio per questa ragione, risulta incomprensibile il varo di una misura che va a colpire anche o soprattutto i progetti di riorganizzazione aziendale e di ammodernamento tecnologico.
Aggiornamento: qui si può leggere un più articolato commento critico all’iniziativa del governo, sul Sole 24 Ore di giovedì 24 aprile.