In Giappone le esportazioni non vanno bene
Crescono molto meno delle importazioni e il deficit commerciale ha raggiunto il suo record storico (c'entrano l'abenomics, il petrolio e Fukushima)
Secondo gli ultimi dati pubblicati dal governo, il Giappone ha raggiunto a marzo il più grosso deficit nella bilancia commerciale della sua storia. La bilancia commerciale è la differenza tra il valore delle importazioni e quello delle esportazioni e in Giappone ammonta a 100 miliardi di euro, il quadruplo del valore di marzo 2013. Questo significa che il Giappone importa beni per un valore superiore rispetto al valore dei beni che esporta.
Si tratta di uno “straziante cambiamento strutturale”, scrive il Financial Times, per un paese che un tempo era considerato uno dei più grandi esportatori del pianeta. Con gli ultimi dati pubblicati, il Giappone ha ufficialmente una bilancia commerciale in deficit da tre anni, il periodo più lungo da quando negli anni Settanta il governo giapponese ha cominciato a raccogliere dati comparabili con quelli pubblicati in questi giorni.
Il deficit storico è stato causato dal fatto che le esportazioni sono rimaste stabili o sono cresciute poco in termini di “volumi” e non di valore: tra gennaio e marzo sono persino leggermente diminuite. Nello stesso momento le importazioni sono cresciute moltissimo, e soprattutto di valore, in un modo, secondo diversi analisti, “superiore alle aspettative”. Le causa di questo aumento sono due e sono strettamente legate.
La prima è la cosiddetta “abenomics“, cioè l’insieme di aggressive politiche economiche intraprese dal primo ministro Shinzo Abe. Tra le misure volute da Abe c’è stata anche la svalutazione dello Yen giapponese nei confronti del dollaro, una manovra che aveva come scopo quello di far uscire il paese dal suo lungo periodo di deflazione (qui avevamo spiegato che cos’è) e quello di dare una spinta all’economia, favorendo le esportazioni. Il primo risultato è stato raggiunto lo scorso dicembre. Nell’ultimo anno lo yen ha perso circa il 10 per cento del suo valore nei confronti del dollaro.
In teoria una svalutazione del cambio dovrebbe migliorare il saldo della bilancia commerciale. Quando si ha una moneta debole diventa sempre meno conveniente acquistare beni di importazione, mentre per i paesi con una moneta forte conviene acquistare i beni del paese che ha svalutato. Il Giappone però, ed è la seconda ragione, è fortemente dipendente dalle importazioni per produrre energia e lo è diventato ancora di più da quando, in seguito all’incidente di Fukushima, ha deciso di spegnere le sue centrali nucleari.
Senza più energia nucleare, che forniva circa il 30 per cento dell’energia del paese, i produttori che utilizzano combustibili fossili, come gas e petrolio, hanno dovuto aumentare i loro acquisti di materie prime sui mercati esteri. Ma gas e petrolio si comprano in dollari e quindi, con uno yen sempre più debole, il prezzo da pagare si è fatto sempre più alto. Secondo gli ultimi dati, le importazioni di gas di petrolio sono cresciute in volume dell’8 per cento, ma il valore, cioè il costo, è cresciuto del 18 per cento. Quelle di gas naturale sono aumentate in volume del 4 per cento e in valore del 14.
Il governo giapponese comunque non sembra preoccupato e un portavoce del governo ha dichiarato che le esportazioni del paese miglioreranno nei prossimi mesi quando ci sarà una ripresa economica nel resto del mondo appena uscito dalla crisi (in sostanza, in Europa). Un altro motivo di ottimismo risiede in una terza, possibile, spiegazione per l’improvviso aumento delle importazioni di questi ultimi mesi.
Dal primo aprile l’imposta sui consumi, l’IVA giapponese, è stata aumentata dal 5 all’8 per cento (ed entro ottobre sarà portata al 10 per cento). Secondo diversi analisti, molti consumatori giapponesi hanno anticipato una serie di acquisti nei mesi precedenti all’aumento in modo da evitare di pagare il prezzo maggiorato dall’imposta. Questo aumento della domanda dei consumatori avrebbe portato a sua volta ad un aumento delle importazioni. Ora che la tassa è entrata in vigore le esportazioni dovrebbero diminuire.