Il disastro nel Golfo del Messico, 4 anni dopo
Un fotografo di Getty Images è andato a vedere che succede oggi su una delle spiagge della Louisiana interessate dall'esplosione della piattaforma Deepwater Horizon
Oggi, quattro anni fa, nel Golfo del Messico ci fu la più grande perdita di petrolio della storia degli Stati Uniti. Il 20 aprile 2010 la piattaforma Deepwater Horizon, della società petrolifera British Petroleum (BP), esplose durante la realizzazione di un pozzo a 1.500 metri di profondità nelle acque del Golfo del Messico, causando la morte di 11 persone che lavoravano sulla piattaforma e il riversamento in mare di circa 780 milioni di litri di petrolio. La fuoriuscita di petrolio continuò fino al 15 luglio 2010, quando la perdita venne arrestata.
Nei giorni scorsi la British Petroleum ha annunciato che la fase di “pulitura attiva” delle spiagge è quasi terminata e che la Guardia Costiera ha concluso la perlustrazione degli ultimi 4 chilometri di costa interessata dal disastro petrolifero (i cui effetti sull’ecosistema marino sono ancora oggetto di studi e che probabilmente saranno del tutto visibili tra diversi anni). Il fotografo statunitense Sean Gardner ha realizzato per l’agenzia Getty un bel servizio fotografico su una spiaggia di Grand Isle, in Louisiana, una di quelle interessate dalla perdita di petrolio.
Settimana scorsa la Guardia Costiera ha diffuso un comunicato in cui ha parzialmente ridotto l’ottimismo emerso dalle dichiarazioni di BP: ha specificato che le pattuglie continueranno a controllare altri chilometri di costa, e saranno pronte a intervenire se dovessero emergere nuove segnalazioni della presenza di petrolio sulle spiagge. Il coordinatore federale delle operazioni, il capitano Thomas Sparks, ha aggiunto che la pulitura non si può considerare conclusa, e che comincia adesso una nuova fase delle operazioni, i cui costi continueranno a essere addebitati alle “parti responsabili”.
Ripulire le aree costiere della Louisiana – come detto dal vicepresidente esecutivo Laura Folse – è finora costato alla BP più di 14 miliardi di dollari, e l’impiego di oltre 70 milioni di ore di lavoro, considerando anche i costi di operazioni simili concluse nella scorsa estate in Alabama, Mississippi e Florida. Nel novembre del 2012, a oltre due anni dall’inizio del disastro ambientale, la BP – ritenuta responsabile non soltanto dell’esplosione della Deepwater Horizon e della morte degli 11 operai sulla piattaforma, ma anche di aver ostacolato le indagini e aver fornito al Congresso informazioni non accurate – concordò il pagamento di una multa di circa 4,5 miliardi di dollari.
Quando affondò poco dopo l’esplosione, la piattaforma si trovava a circa 80 chilometri di distanza dalle coste della Louisiana. Il combustibile continuò a fuoriuscire per mesi e dell’incidente si parlò a lungo, grazie anche alla notevole copertura mediatica. Durante le complicatissime operazioni di chiusura della falla vennero diffusi una serie di video sottomarini che mostravano la fuoriuscita di petrolio da uno degli squarci della piattaforma.
L’enorme chiazza prodotta dall’esplosione e dalla perdita galleggiò per settimane nel Golfo del Messico e raggiunse presto le aree costiere della Louisiana, causando danni ai fondali e alle migliaia di specie marine, oltre che notevoli disagi e rilevanti perdite economiche ai pescatori della Louisiana che per mesi non poterono uscire in mare per la pesca.
La BP subì un colpo durissimo e dovette gestire le grandi pressioni dei media, dell’opinione pubblica e del Congresso degli Stati Uniti. Non riuscì però a farlo in maniera ottimale: l’amministratore delegato della società, Tony Hayward, si dimise dopo aver compiuto molte gaffe, dicendo nel momento più difficile della crisi che avrebbe voluto “indietro la sua vita di prima”.