Chi cresce i figli, sono suoi
Sandro Veronesi riflette sullo scambio dell'ospedale Pertini, sulla facilità di simili errori, e su un consiglio di Roberto Benigni
Il 13 aprile diversi giornali hanno riportato la notizia di uno scambio di embrioni all’ospedale Pertini di Roma. Lo scorso dicembre per un errore l’ospedale invertì gli embrioni che dovevano essere impiantati a due donne: una delle due non rimase incinta, mentre l’altra, quando è stato scoperto l’errore, era già incinta di quattro mesi. Lo scambio è stato confermato pochi giorni fa dagli esami del DNA degli embrioni. A quanto pare l’errore è stato causato da un caso di quasi-omonimia: le due donne avrebbero i cognomi che iniziano con la stessa lettera e con cinque su sette lettere in comune. Sabato 19 aprile, sul Corriere della Sera, lo scrittore Sandro Veronesi ha scritto un articolo in cui spiega perché, secondo lui, non dobbiamo farci ossessionare dalle prove scientifiche che i nostri figli siano davvero nostri, perché quello che conta è chi li cresce.
Ho cinque figli e ho assistito alla nascita di ognuno di loro. Per essere vicino a mia moglie nel momento fatale – certo; per essere fisicamente percepito dal neonato nel suo primo contatto con la vita extrauterina – come no: ma soprattutto, in un momento nel quale la mia concreta utilità all’interno della sala parto rimaneva alquanto discutibile, per controllare che mio figlio non venisse scambiato con un altro neonato venuto al mondo nello stesso momento. Ho perciò presenziato a tutte le operazioni post parto (misurazione, peso, apertura delle vie nasali, conta delle dita ecc.) senza perderlo di vista un solo istante, come faceva Fabio Cannavaro col pallone nell’uno-contro-uno. Era l’unica funzione pratica che potessi svolgere, e Dio sa con quanta attenzione l’abbia svolta. Dice: sei paranoico. Può darsi – ma in certi casi la paranoia è di grande aiuto, se l’alternativa è affidarsi passivamente, marci di commozione e mezzi svenuti dall’impressione, al protocollo adottato dalla struttura e alla sua corretta applicazione da parte degli operatori.
Questo per dire che non sono affatto sorpreso del pasticcio combinato all’ospedale Pertini di Roma, in seguito al quale una donna si trova incinta di due gemelli non suoi. Al contrario, vivo nella convinzione che errori come questo avvengano più spesso di quanto si pensi, anche se non esistono statistiche al riguardo e il più delle volte non si viene nemmeno a saperlo. Si tratta di un presupposto culturale, per me, e a sorprendermi semmai è la sorpresa che accompagna la diffusione di notizie del genere. Infatti, per quanto rigidi siano i protocolli adottati da una qualsiasi struttura allo scopo di evitare gli errori, coloro che devono adottarli sono esseri umani, e resto convinto che una delle caratteristiche degli esseri umani, specie in condizioni di assuefazione e di routine, sia quella di violare le norme, alleggerire le proprie mansioni, semplificare le procedure, perdere la concentrazione, distrarsi, rimuovere, omettere – sbagliare, per l’appunto. Non sto dicendo che tutti si comportino così, sempre e dovunque: sto dicendo che qualcuno, quel dato giorno, in quel dato posto, per quelle date ragioni, si comporta così – ma questo è sufficiente a causare le sciagure, gli incidenti e gli errori più o meno gravi che popolano ogni giorno le pagine di cronaca. Ed ecco anche la ragione ultima e definitiva che mi fa essere contrario alle centrali nucleari, per esempio, alla manipolazione genetica e a tutte le pratiche più complesse e rischiose che la scienza ci mette a disposizione: non mi fido degli uomini.
Ora, nel caso di Roma, il trauma che investe le due coppie coinvolte dall’errore è grande, ma ancora superabile: con fatica, certo, ma una via da percorrere per rimediare c’è. La indica chiaramente il caso riaffiorato in questi giorni delle due bambine di Mazara del Vallo, scambiate per l’appunto nella culla e in seguito, accertato l’errore quando avevano tre anni, finite al centro di un formidabile caso di allargamento mentale collettivo: ora, a quindici anni, hanno tutto doppio – genitori, fratelli, nonni, case -, grazie alla saggezza con cui tutte le vittime di quell’errore si sono impegnate a trasformarlo in un dono. Ma leggo che, allarmate dal caso ora sui giornali, molte coppie che hanno usufruito della fecondazione assistita all’ospedale Pertini di Roma stanno chiedendo l’esame del Dna per verificare la propria situazione; e poiché non credo che il Pertini di Roma sia il solo ospedale dove si commettano errori, è ragionevole paventare che queste – intendiamoci, legittime – richieste comincino a fioccare anche presso altre strutture, in altre città d’Italia.