Il Giappone insiste sulla caccia alle balene in Antartide
Il governo sta cercando di aggirare la sentenza dell'Aja per riprendere la caccia nella stagione 2015-2016
Lo scorso 3 aprile, a seguito di una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, il ministero per la Pesca del Giappone aveva annunciato la rinuncia alla prossima stagione di caccia alle balene in Antartide, per la prima volta in 27 anni. Oggi la Commissione per la pesca – costituita da 40 membri della Camera dei Rappresentanti, la camera bassa del Parlamento – ha però definito il divieto «deplorevole» perché non si può porre fine a «qualcosa che fa parte della tradizione e della cultura giapponese», e ha approvato all’unanimità una risoluzione che invita il governo a prendere in considerazione «tutte le opzioni, tra cui anche la possibilità di tirarsi fuori dalla Convenzione internazionale sulla caccia alle balene», per aggirare la sentenza.
La caccia alle balene per fini commerciali è stata bandita dall’IWC (la Commissione internazionale per la caccia alle balene) con una Convenzione internazionale entrata in vigore nel 1986. L’IWC aveva comunque permesso la caccia per scopi scientifici, stabilendo soglie che variano di anno in anno. Il Giappone ha sempre usufruito di tale permesso, ma diversi paesi, tra cui l’Australia, sostenuta dalla Nuova Zelanda, si erano rivolti alla Corte internazionale di giustizia dell’ONU sostenendo che il Giappone ha ripetutamente violato la moratoria superando di molto le soglie stabilite. Il Giappone, al contrario, ha sempre detto di condurre una ricerca scientifica essenziale sulla condizione delle balene dopo la caccia eccessiva e senza regole del passato, e che tale ricerca era pienamente sostenibile e regolare.
Il governo giapponese emette ogni anno un permesso “scientifico” per catturare fino a 935 balenottere rostrate (una delle specie più piccole e comuni), 50 balene azzurre e 50 megattere. L’Australia ha denunciato invece che dall’inizio del programma scientifico (tra 1987 e il 2009) siano state uccise oltre 10 mila balene e aveva chiesto ai giudici dell’Aja di revocare «ogni autorizzazione, permesso o licenza». La sentenza, con il voto di 12 giudici su 16, ha infine stabilito che il governo giapponese ha effettivamente portato avanti una caccia a fini commerciali passando attraverso un presunto programma di ricerca scientifica.
Dopo la sentenza della Corte internazionale, il primo ministro giapponese Shinzo Abe si era detto «molto deluso», aveva affermato che il paese avrebbe comunque rispettato la decisione e aveva diffuso attraverso il ministero competente i dati relativi all’ultima stagione di caccia: da quei dati risulta che prima del fermo il Giappone avesse ucciso 251 balene, numero più che raddoppiato rispetto al 2013, ma ben al di sotto della soglia di 935. Come ha precisato qualche giorno fa l’organizzazione Sea Shepherd, uno dei gruppi ambientalisti più attivi che si oppongono alla pratica della caccia alle balene con sede negli Stati Uniti, il governo e l’Istituto giapponese di Ricerca sui Cetacei (ICR) non hanno però intenzione di rassegnarsi e intendono trovare il modo per riprendere la caccia nella stagione 2015-2016.