L’Aquila, cinque anni dopo
Come procede la ricostruzione dopo il terremoto del 2009, tra inchieste giudiziarie, burocrazia e case temporanee che «facevano schifo anche agli sciacalli»
A quasi cinque anni dal terremoto dell’Aquila, in cui morirono oltre 300 persone e che provocò circa 80mila sfollati, Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera fa il punto sui lavori per risistemare la città e sulle condizioni delle case costruite molto rapidamente nei mesi dopo le scosse per ospitare migliaia di famiglie. Tra materiali scadenti usati per le costruzioni, numerose inchieste della magistratura e ritardi burocratici, la situazione non è incoraggiante. Molte case temporanee stanno diventando inabitabili a causa dei difetti di costruzione, mentre tante di quelle vecchie danneggiate sono ancora in attesa di ristrutturazioni o di essere ricostruite. Le risorse economiche per la ricostruzione dell’Aquila ci sono e sono tanti i cantieri aperti, ma portare avanti i lavori tra permessi da richiedere e ordinanze di vario tipo non è semplice.
È vuoto e spettrale, il «villaggio modello» di Cansatessa-San Vittorino. Avevano cominciato a consegnarlo agli aquilani rimasti senza tetto nel gennaio 2010. C’erano Guido Bertolaso, Franco Gabrielli, il sindaco Massimo Cialente, la presidente della Provincia Stefania Pezzopane e gli alti papaveri della «Task Force Infrastrutture» delle Forze Armate che si era fatta carico del progetto. Brindisi e urrà.
Certo, carucce: 1.300 euro al metro quadro per case di legno, ferro e cartongesso. Quattrocento euro in più di quanto, tolto questo e tolto quello, viene dato oggi a chi ristruttura le vecchie e bellissime case di pietra. Ma che figurone! Pochi mesi per costruirle ed eccole là, pronte: con la bottiglia di spumante in frigo.
Pochi mesi e già puzzavano di muffa. Pessimo il legno. Pessime le giunture. Pessimi i vespai contro l’umidità. Asma. Bronchiti. Artriti. Finché è intervenuta la magistratura arrestando il principale protagonista del «miracolo», mettendo tutto sotto sequestro e ordinando l’evacuazione totale. Centotré famiglie vivevano lì, a Cansatessa. Quando le spostarono avevano il magone: «Siamo sfollati due volte». In via Fulvio Bernardini, via Nereo Rocco, via Vittorio Pozzo, tutti allenatori di calcio, non è rimasto nessuno. «Giardini» spelacchiati. Lampioni storti. Pavimenti semidistrutti. Piastrelle divelte. Case cannibalizzate. Docce rubate. Lavandini rubati. Bidè rubati. Mobili e materassi lasciati lì: facevano schifo anche agli sciacalli.