Il Garamond fa davvero risparmiare?
Uno studente statunitense ha proposto di cambiare font sui documenti governativi per ridurre la spesa di inchiostro, facendo parlare molto di sé: ma i suoi conti non tornano
Durante lo scorso fine settimana molti giornali e siti hanno ripreso la storia di Suvir Mirchandani, uno studente di 14 anni di Pittsburgh (Pennsylvania) che ha fatto uno studio sul consumo di inchiostro da parte della pubblica amministrazione degli Stati Uniti. Mirchandani sostiene che utilizzando il carattere tipografico Garamond si potrebbero risparmiare ogni anno centinaia di milioni di dollari (Carlo Pizzati ne ha parlato, con le dovute cautele, sul suo blog qui sul Post). Per arrivare a questa conclusione, Mirchandani ha confrontato quattro diversi e diffusissimi caratteri tipografici – il Times New Roman, il Garamond, il Comic Sans e il Century Gothic – sostenendo infine che per stampare il più leggero e delicato Garamond è necessario in media il 24 per cento di inchiostro in meno. Considerato l’alto costo delle cartucce delle stampanti, Mirchandani ha concluso che adottando in tutti i documenti questo carattere tipografico, la pubblica amministrazione degli Stati Uniti potrebbe risparmiare 467 milioni di dollari all’anno.
Come spiega John Brownlee su Fast Company, le cose non stanno esattamente così. Nel fare la sua ricerca, innanzitutto, Mirchandani ha fatto confusione nel misurare le dimensioni del Garamond e degli altri caratteri tipografici. Questi sono tradizionalmente misurati in “punti”, e ogni punto corrisponde a 1/72esimo di un pollice. Viene quindi da pensare che quando si stampa qualcosa a 12 punti, le lettere risultanti siano sempre alte 1/6 di un pollice sulla pagina, ma non è così.
Il dato dei punti, che è stato adottato anche per il digitale, fa riferimento all’altezza del blocchetto di metallo su cui era posta la lettera in rilievo per fare la stampa nel sistema a caratteri mobili. Ogni lettera di un carattere tipografico occupa l’altezza della faccia orizzontale del blocchetto solo in parte o del tutto. Poiché ogni carattere ha un’altezza diversa da quella degli altri (la “a” è più bassa della “t”, che a sua volta è più bassa della “K”), si fa riferimento all’altezza del blocchetto di metallo per avere un dato omogeneo e uguale per tutta la riga di testo che si sta componendo.
Questo significa che a 12 punti alcuni caratteri tipografici sono fisicamente più piccoli di altri, e di conseguenza anche più difficili da leggere. Il Garamond, per esempio, è circa il 15 per cento più piccolo rispetto alla grandezza media degli altri tre caratteri utilizzati da Mirchandani per la sua ricerca. Se si riducesse il corpo carattere di questi ultimi, raggiungendo una dimensione paragonabile ai caratteri Garamond a 12 punti, ci sarebbe più o meno lo stesso risparmio di inchiostro intorno al 24 per cento. Le scritte sarebbero però più piccole e di conseguenza più difficili da leggere.
Brownlee ricorda inoltre che Mirchandani ha fatto i suoi conti dando per scontato che l’amministrazione pubblica degli Stati Uniti stampi le sue cose come “fa nonna quando stampa un biglietto di auguri di compleanno su una stampante HP a getto d’inchiostro”, con le costose cartucce che si comprano nei negozi di elettronica. Naturalmente gli uffici pubblici hanno contratti e accordi con fornitori e pagano di solito per pagine stampate, non per quantità di inchiostro utilizzato (che ci sia una sola lettera stampata in bianco e nero o un’illustrazione a colori il prezzo della pagina per l’ufficio non cambia). Mirchandani ha fatto la sua ricerca parlando genericamente di inchiostro, trascurando il fatto che molti uffici sono dotati di stampanti laser, che utilizzano toner molto più economici delle cartucce. Infine, molti documenti del governo degli Stati Uniti sono stampati in centri di stampa che utilizzano tecnologie diverse da quelle delle classiche stampanti da ufficio, con inchiostri acquistati all’ingrosso a prezzi più abbordabili. Insomma, sarebbe bello, ma no.